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C’è taglio e taglio: ora le partecipate

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L'Analisi|spending review

C’è taglio e taglio: ora le partecipate

Il Rapporto sulla revisione della spesa lo dice onestamente nelle premesse: «L’eliminazione e la riduzione di specifici capitoli di spesa non corrisponde automaticamente a una pari riduzione della spesa pubblica complessiva».

Morale: spesso nel bilancio dello Stato una cifra con il segno meno si accompagna a cifra analoga con il segno più, risultato di una semplice riclassificazione contabile, e quindi l’impatto di riduzione reale è pari a zero. Come ad esempio accade quando vengono ridotti i trasferimenti ai Comuni, salvo poi compensarli con allentamenti di pari entità dei vincoli di finanza locale. Lo si può vedere dal cosiddetto Allegato 3 della Ragioneria abbinato alla legge di stabilità. Spesso la riclassificazione si accompagna all’idea che si stia trasformando una spesa improduttiva in un’uscita “produttiva”, ma in questo caso – è evidente – fa premio la narrazione squisitamente politica che accompagna la nuova classificazione. Il risultato è che i quasi 30 miliardi di spese ridotte potrebbero risultare inferiori in termini effettivi, anche fino a un terzo. Emblematico è il caso della Sanità: un accordo di settore individua 10 miliardi di razionalizzazione della spesa da riutilizzare però per investimenti nel comparto. Ridurre l’invasività della presenza pubblica nell’economia resta un cimento arduo. Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che, nel complesso, la spesa pubblica negli ultimi anni è sempre aumentata. Tuttavia sono ancora molti gli interventi possibili e ha fatto bene il commissario Yoram Gutgeld a invitare anche il prossimo Governo a non mollare la presa.

Capitolo del tutto intonso è ad esempio quello delle partecipate locali: sono oltre 7mila le società aggredibili con provvedimenti di riduzione dei costi se non addirittura di vera e propria soppressione. Nell’arcipelago delle municipalizzate esistono aziende vere e proprie (anche di eccellenza, come alcune utility approdate addirittura alla Borsa) ma esistono anche molte società create dal sottogoverno locale per acquisire consensi o per parcheggiare notabilato politico. Sono oltre 35mila i soli consiglieri di amministrazione.

Nonostante i grandi numeri, tuttavia, già nelle precedenti edizioni dei Rapporti sulla spending review (redatti ad esempio da Carlo Cottarelli) l’indicazione di risparmio effettivo non andava oltre i 2-3 miliardi a regime. Una cifra comunque considerevole se si pensa che l’Italia è uscita da poco dal corpo a corpo con la commissione Ue per una manovra correttiva di 3,4 miliardi.

La complessa architettura della riforma Madia sulla pubblica amministrazione non ha mai affrontato il tema della riduzione di spesa, semmai quello dell’aumento dell’efficienza e della migliore organizzazione del lavoro. Ma è chiaro che in questo settore resta molto da fare. E anche l’azione di contenimento delle retribuzioni apicali con il contestato tetto di 240mila euro annui ha riguardato non più di una trentina di posizioni. L’azione sugli affitti ora affidata alla cosiddetta strategia del Federal building dispiegherà i suoi effetti lentamente entro il 2021: oggi superano i 2,2 miliardi e sono considerati “aggredibili” nell’immediato solo 244 milioni. Probabilmente l’approccio resta prudente.

E anche dove è intervenuta in modo più draconiano l’azione riformista, come nel caso dell’abolizione delle province, i risparmi effettivi sono inferiori alle attese: 843 milioni annui. Il personale è tutto destinato alla ricollocazione in altri uffici pubblici e si tratta di 20mila unità. L’amministrazione pubblica, nonostante viva situazioni da azienda in crisi, non contempla l’uso di ammortizzatori sociali e spesso il riutilizzo del personale non è in sintonia con i programmi di razionalizzazione digitale della Pa che, non a caso, procedono a velocità molto ridotta: per ora si è arrivati alla costituzione di un gruppo di lavoro interfunzionale, i piani d’azione saranno presentati in autunno. Già nel 2012 il primo commissario Piero Giarda stimava che un’opera di «efficientamento» dei corpi di polizia si potevano ricavare risparmi per 1,7 miliardi. Il primo passo è stato compiuto con l’accorpamento di Carabinieri e Guardia Forestale, ma di risparmi neanche l’ombra. Si è spesso discusso del valore di una riduzione delle sedi territoriali delle amministrazioni centrali, ma di questo si è persa ogni traccia. Ci sono 103 uffici delle Ragionerie territoriali dello Stato, altrettante commissioni tributarie centrali, 107 direzioni delle Entrate, 109 direzioni regionali del Lavoro solo per citarne alcuni. Un’azione di accorpamento e razionalizzazione potrebbe comunque portare risparmi.

Così come doveva portarne quella di accorpamento dei piccoli Comuni: sono stati 120 i municipi che hanno risposto all’appello, ancora una piccola pattuglia sugli oltre 8mila enti locali complessivi. L’agenda per il commissario non resta certo vuota. E avrà, fin dalla prossima manovra d’autunno, un peso strategico ancora maggiore. Soprattutto perché non dovrà essere ripetuto l’errore fatto finora di tagliare – qui si con la mannaia – la spesa per investimenti, crollata del 40% a prezzi costanti dal 2009 al 2016. Invece, quella spesa, è l’unica che può farci crescere. E rilanciare il Paese.

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