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Se l’Europa parla finalmente con una voce sola

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L'Editoriale|difese commerciali

Se l’Europa parla finalmente con una voce sola

La decisione dell’Europarlamento di introdurre un nuovo sistema di misure antidumping – a difesa dei produttori europei e in sostituzione della “lista nera” dei Paesi non a economia di mercato – è da valutare molto positivamente.

Si tratta a tutti gli effetti della decisione migliore possibile rispetto agli scenari che erano andati progressivamente emergendo negli ultimi mesi. Per due motivi. Rappresenta una misura strutturale – di rilievo globale (per tutti i Paesi terzi e settori) – che, rendendo obbligatorio l’uso dei prezzi internazionali e non del Paese che fa dumping per valutare la presenza di una distorsione di mercato ed eliminando l’onere della prova a carico delle imprese, riduce gradi di libertà (e quindi tensioni) all’interno dei Paesi Ue; si tratta insomma di una decisione (finalmente) unitaria che non può che rafforzare il ruolo dell’Europa in un contesto sempre più multilaterale in cui è rilevante giocare un effetto di “massa critica”. Attribuisce in secondo luogo un rilievo centrale alla Commissione ed ai suoi rapporti, che acquisiscono così valenza probatoria nell’ambito di un’indagine antidumping e nel contempo rende possibile lo sviluppo di un’azione proattiva di politica commerciale in un periodo in cui nel mondo occidentale viene a perdere di peso specifico la posizione Usa, che molto probabilmente assumerà una prospettiva isolazionista e sempre meno di faro della globalizzazione.

Se ben gestita nel suo iter legislativo questa decisione rimette al centro la nostra vecchia Europa le cui divisioni interne agli Stati membri avevano fatto correre il rischio di una sua progressiva marginalizzazione nel più ampio dibattito sulle regole del gioco del commercio internazionale.

A voler ben guardare questo importante passaggio assunto dall’Europarlamento deve fungere anche da stimolo per un cambio di passo rispetto al convitato di pietra della decisione di ieri: la Cina. Ieri infatti si è aggirato il delicato, altamente simbolico e spinoso – da un punto di vista legale – tema del (non) riconoscimento della Cina come economia di mercato (status peraltro riconosciuto alla Federazione Russa nel 2002), andando invece all’essenza del problema: una gestione consapevole e pro-attiva di distorsioni di natura competitiva conseguenti a impropri sussidi da parte dei Paesi esportatori. Ora è però improrogabile l’avvio di un dialogo strategico con la Cina e l’assunzione da parte dell’Europa di un atteggiamento deciso e nel contempo pragmatico. Il punto di partenza mi pare ovvio: entrambe le parti hanno da guadagnare se si andrà affermando un sistema di regole ragionevolmente chiaro e trasparente. L’Europa è infatti il mercato più rilevante di sbocco per i prodotti del Dragone – aspetto di grande rilievo in un contesto in cui gli Usa si accingono a varare misure da “America first” –; la Cina ha una duplice valenza per il Vecchio Continente: da un lato, rappresenta per moltissimi produttori che ambiscono a crescere (in fatturato e profitti) un mercato a massima priorità e rispetto al quale non è nemmeno lontanamente auspicabile un atteggiamento da “chiusura della saracinesca” da parte delle autorità di Pechino; dall’altro, rappresenta un soggetto che con i suoi possibili investimenti in infrastrutture (sono già state approvate sul fronte cinese linee di investimento per centinaia di miliardi di dollari a tal proposito) può moltiplicare l’impatto del Piano Juncker.

In questa prospettiva, facendo leva sulla “massa critica” riconquistata (si spera stabilmente), l’Europa deve farsi promotrice dell’apertura immediata e ai massimi livelli politici di un tavolo negoziale in cui esplicitare con chiarezza le regole del gioco: ovvero piena reciprocità sia dal punto di vista dei meccanismi di accesso al mercato e che degli investimenti diretti esteri. A questo proposito, è da evidenziare come sussista ancora oggi una forte asimmetria tra investimenti europei in Cina e cinesi in Europa: nel 2015 ci sono stati quasi 40 miliardi di euro di investimenti cinesi in Europa e circa 8 di investimenti europei in Cina. Occorre riequilibrare la situazione; per questo è indispensabile siglare l’accordo “The Eu-China Bilateral Comprehensive Agreement on Investment”. Ma per farlo sono davvero indispensabili: visione di lungo periodo, chiarezza degli obiettivi negoziali e un rapporto di ampio respiro in grado di assorbire eventuali criticità su aspetti specifici della negoziazione.

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