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Dossier Flat tax, un conto pesante per i ceti medi

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    Dossier | N. 19 articoliFlat tax

    Flat tax, un conto pesante per i ceti medi

    La proposta di generale riforma fiscale del centro Bruno Leoni ha il pregio della chiarezza degli obiettivi politici che essa persegue. Da un punto di vista tecnico vi sono parecchie cose che lasciano perplessi, ma non vale la pena dilungarci su di esse. Meglio concentrarsi su alcuni punti essenziali.

    Tutte le imposte (Irpef, Ires, Iva, sostitutiva) avrebbero una unica aliquota del 25%, il che dà alla proposta un indubbio appeal propagandistico, e di apparente semplificazione, apparente perché le complicazioni dei moderni sistemi fiscali in un mondo di informatica e computer hanno ben poco a che vedere con il numero di aliquote esistenti.

    Tuttavia proprio a questo proposito si pone un primo problema: l’aumento di gettito derivante dalla unificazione delle aliquote Iva al 25% sarebbe molto più alto dei 19 miliardi indicati nello studio, si tratterebbe infatti di quasi 70 miliardi, mentre l’aumento della tassazione a carico dei consumatori sarebbe di 81 miliardi (+56,5%) che si riducono a livello di gettito a causa di un aumento dell’evasione di 11 miliardi. Tale aumento graverebbe in misura più elevato sulle famiglie (+62,1%) che sui contribuenti Iva (imprese) (+28,3%). Le conseguenze di un tale incremento di imposizione sarebbero importanti e probabilmente dirompenti.

    Vi è poi l’imposta “piatta” che è il punto forte ideologico della proposta, strutturata come imposta negativa, e quindi con un trasferimento monetario a beneficio degli incapienti, soluzione che può essere condivisibile se opportunamente integrata con altre forme di integrazione del reddito per i più poveri. Quello che non è condivisibile invece è l’aliquota unica, per giunta molto bassa. Tassare un reddito di 10.000 euro e uno di un milione con la stessa aliquota sarebbe di difficile comprensione per molti, e poco importa che le deduzioni sono in grado di ridurre l’incidenza media per i redditi più bassi; il fatto è che lo straordinario dell’operaio e il premio di produzione del manager sarebbero tassati ambedue al 25%. La progressività assicurata dalle deduzioni sarebbe molto moderata, ma soprattutto i più ricchi beneficerebbero di un tetto al prelievo quale che fossero i loro redditi complessivi, che difficilmente potrebbe essere considerato equo dalla maggior parte delle persone sensate.

    Ma soprattutto va chiarito che la caratteristica fondamentale delle imposte “piatte” è che esse, a parità di gettito rispetto a una tradizionale imposta a scaglioni, penalizzano le classi medie. La soluzione flat tax, quindi postula sul piano politico una alleanza tra ricchi e poveri (per lo più inconsapevoli), mentre non a caso, quando nel dopoguerra prevalevano le imposte con molti scaglioni (o, come accade ancora oggi in Germania, imposte disegnate seguendo una funzione matematica) l’alleanza politico-sociale prevalente (quella socialdemocratica, ma di fatto accettata da tutti) tendeva a unire poveri e classe media.

    La proposta prevede inoltre che l’imposta negativa sostituisca numerose erogazioni di sostegno ai redditi più bassi e alle situazioni di povertà con un saldo netto per i cittadini coinvolti con ogni probabilità quasi sempre negativo. È inoltre previsto un meccanismo di opting out dalla sanità pubblica, e quindi di fatto una sua parziale privatizzazione con tutte le conseguenze del caso ampiamente discusse in letteratura. Sono ancora previsti ulteriori tagli non meglio individuati alla spesa pubblica.

    In sintesi un programma radicale ed esplicito di riforma fiscale e della spesa pubblica ispirata ai paradigmi delle destre liberiste di tutto il mondo che determinerebbe una fortissima redistribuzione del reddito a favore dei ceti abbienti e penalizzerebbe i più poveri e soprattutto le classi medie che già sono quelle più colpite dalla crisi e dagli sviluppi del mercato del lavoro. È anche evidente che gli interventi proposti renderebbero il sistema fiscale complessivo da vagamente proporzionale come oggi è, a regressivo.

    Né esistono giustificazioni attendibili circa i benefici di un tale sistema: gli effetti distorsivi delle imposte andrebbero innanzitutto confrontati con quelli positivi (di rimozione di distorsioni preesistenti) derivanti da non poche categorie di spesa pubblica, inoltre sono molto incerti gli effetti positivi sul lavoro e sul risparmio di eventuali “appiattimenti” delle aliquote, e la stessa teoria della tassazione ottimale ottiene oggi risultati favorevoli alla progressività (delle aliquote).

    La proposta è di fatto un attacco radicale all’imposta sul reddito e al principio di progressività; essa ipotizza quindi implicitamente che i redditi più alti non siano mai frutto di rendite di posizione o di estrazione artificiale di valore, ma che siano sempre meritati; inoltre ritiene che del benessere dei ricchi porti beneficio anche ai poveri per cui è bene non disturbare troppo i primi con le imposte, che l’imposizione indiretta sia la forma migliore di tassazione, ecc.

    Sul piano culturale la proposta ignora il dibattito millenario che esiste in materia di progressività e su cui si trovano indicazioni sin dal Vecchio Testamento che evidenziano come il principio che il prelievo fiscale possa e debba essere più penalizzante per i ricchi sia profondamente radicato nella cultura e nella tradizione etica dell’umanità, e i numerosi esempi di prelievi progressivi esistiti in passato, dalle riforme di Solone ad Atene, alla “decima scalata” di Firenze al tempo dei Medici, ai numerosi esempi di imposte progressive riscontrabili nel Medioevo e nel Rinascimento soprattutto a livello comunale, il che evidenzia il rapporto stretto che esiste tra principio di progressività e assetti democratici del potere, alla distinzione tra consumi necessari (quelli dei poveri da proteggere) e superflui (da tassare in quanto tipici dei ceti abbienti).

    Lo stesso Adam Smith che pure era favorevole all’imposizione proporzionale (a patto che escludesse le necessities) nella Ricchezza delle Nazioni prende in considerazione la possibilità di una imposizione progressiva, scrivendo: «Non è irragionevole che un ricco dovrebbe contribuire in misura alquanto superiore alla semplice proporzionalità rispetto al reddito».

    In sostanza le imposte non sono solo una questione economica, ma anche un problema etico e di giustizia. Una discriminante fondamentale tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti. Non bisognerebbe dimenticarlo.

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