L’evoluzione delle tecnologie detta i tempi dei mercati, trasformandoli. Ma l’Europa non resta a guardare: la concorrenza sta facendo i conti con il digitale. Con la maxi multa dell’anti-trust Ue a Google (2,42 miliardi di euro) il segnale profondo che Bruxelles ha mandato ai giganti dell’hi-tech è chiaro: la Commissione ha capito il ruolo del digitale.
«Ritengo – dice al Sole 24 Ore Giangiacomo Olivi, partner dello studio Dla Piper dove è responsabile del gruppo intellectual property e technology – che in futuro la normativa europea potrà riservare dei cambiamenti di sostanza: la tendenza è rendersi conto che il centro del ragionamento sul digitale sono i dati, che costituiscono una risorsa essenziale per fare business e che quei pochi soggetti che hanno messo assieme enormi dataset devono avere delle responsabilità in più, devono condividerli».
Infatti, secondo il parere dell’esperto di diritto digitale, il fatto interessante non sta tanto in questa singola decisione presa da Margrethe Vestager, commissario Ue alla Concorrenza, quanto nel percorso che Bruxelles ha seguito a partire da storiche decisioni come quelle contro Microsoft negli anni 90 fino a oggi. L’evoluzione dell’indirizzo della Commissione, sostanzialmente seguito da tutti i commissari che si sono succeduti alla guida della Concorrenza, è quello di estendere il giudizio per creare un “level playing field”, un terreno di gioco senza barriere artificiali che permetta a tutti gli operatori di competere. Dalla competizione commerciale tradizionale – la vendita di pc, ad esempio, o l’uso dei browser – a quella attuale in cui il digitale è lo strumento da regolare, emergono linee di tendenza che porteranno a sviluppi significativi. In particolare, nei confronti dei big data.
Come spiega anche l’avvocato Olivi: «I grandi soggetti che hanno una massa di dati in mano potrebbero in futuro non poter più giustificare un diniego di accesso ai dati verso gli altri attori del mercato che non li posseggono». I soggetti maggiori, le Google e le Facebook del mercato, che grazie alla loro posizione, abilità e capacità hanno costruito una posizione di fatto dominante, secondo Olivi non correranno solo rischi di abuso della posizione dominante, ma anche di veder regolamentato l’accesso e la condivisione ai dati, perché c’è una consapevolezza di mercato sempre maggiore sull’importanza di questo snodo.
«Se pensiamo - dice Olivi – ai soggetti che grazie al digitale adesso hanno il controllo del flusso informativo e lo possono combinare con il controllo dei dati di profilazione pubblicitaria, si capisce che si sta creando una grande asimmetria nel mercato che dovrà essere regolamentata». Il futuro intervento in quest’ambito sarebbe secondo Olivi una continuazione di quanto l’Ue sta già facendo altrove. La nuova normativa europea per la tutela della privacy, ad esempio, estende la tutela dei cittadini Ue anche quando i loro dati si trovano in altri Paesi, quindi attrae nella sfera della giurisdizione europea anche il trattamento fuori dei confini dell’Unione.
«Se lasciamo – dice Olivi – che determinate decisioni vengano prese da algoritmi e software di intelligenza artificiale senza aver prima definito la filosofia alla base della nostra Unione, tra qualche anno avremo dei grandi problemi». Qui rientra il tema sanzionatorio. La multa comminata dalla Commissione a Google è molto elevata: 2,42 miliardi di euro (ma non è il massimo: si può arrivare sino al 10% del fatturato nel 2016, pari a 80 miliardi di euro) e prevede ulteriori sanzioni pari al 5% del fatturato se Alphabet, la holding che controlla Google, non seguirà le indicazioni per correggere i comportamenti sanzionati. Sono multe che però vanno confrontate con le dimensioni del business dei soggetti sanzionati, per avere un effetto dissuasivo reale.
In futuro l’Ue, secondo Olivi, deve evitare l’errore di chiudersi in lotte di retroguardia proteggendo artificialmente dei settori: «La risposta non sono gli incentivi, ma la comprensione dell’importanza del digitale in chiave di sviluppo. Le aziende che usano i big data sono le più produttive e profittevoli. Questa trasformazione non va bloccata, ma regolamentata in maniera tale che sia fruibile da tutti. Chi ha molti dati deve metterli a disposizione e chi li utilizza deve pagare per farlo».
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