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Italia

Manfredi: «Può essere la strada giusta ma servono investimenti»

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Gaetano Manfredi è il Magnifico della Federico II di Napoli e guida i colleghi come presidente della Conferenza dei rettori. Dal suo insediamento alla Crui il rilancio della formazione professionalizzante con apposite lauree è stato uno degli impegni su cui si è speso di più. Ora sottolinea che l’università «è pronta a partire con la massima decisione dal 2018 attivando almeno un corso di laurea per ogni ateneo».

Come giudica la proposta del Governo?

Non conosco nei dettagli il progetto, ma sono convinto che questo percorso sia un passo molto positivo per provare a garantire un’offerta della formazione professionale tarata sui bisogni del mercato del lavoro e poggiata su due gambe: Its e le lauree professionalizzanti.

Come si inseriscono le lauree professionalizzanti nel percorso di studio 3+2?

Questo nuovo passaggio si può dire che rappresenti un completamento di quella riforma che almeno per le lauree triennali ha diverse lacune. Ora alla formazione più tradizionale si affianca un percorso che prevede anche una formazione tecnico pratica.

Ma come si concretizzerà l’esperienza “on the job”?

La formazione si dovrebbe qualificare con una estensione del tirocinio attivo, dopo due anni di corsi frontali. E il primo campo di applicazione può essere l’accesso a quelle professioni ordinistiche per le quali l’Europa, con una serie di direttive, ci ha chiesto di introdurre un titolo di formazione terziaria.

Cosa serve per farle partire?

È necessario lavorare in maniera stretta con le imprese e con il sistema degli ordini professionali. Già ci sono alcune esperienze positive di singole università che hanno avviato questo confronto, come nel caso del percorso di accesso alla professione di perito industriale.

Nel progetto si parla anche di un patto con gli Its, come si può concretizzare?

Università e Its devono essere complementari. E possono lavorare insieme attraverso accordi a livello locale lì dove è possibile sviluppare delle sinergie.

L’Italia è alle ultime posizioni per laureati. Questo percorso aiuterà a ridurre il gap?

Sì, questa può essere la strada giusta a patto che si decida di investirci e ci sia una capacità di risposta degli atenei e soprattutto del mondo del lavoro in modo da far nascere una domanda per questi nuovi corsi.

Come si può far nascere questa domanda?

Ci vuole un piano nazionale che affianchi alla programmazione sulla didattica anche una valutazione dei fabbisogni del mondo del lavoro per garantire a chi si iscrive a questo percorso concrete opportunità lavorative. Per questo serve un impegno del mondo produttivo.

Gli ultimi dati sulle immatricolazioni registrano una crescita oltre il 4%. È una inversione di tendenza, anche per il Sud?

Credo che soprattutto gli atenei del Sud abbiano sofferto di più della crisi economica, ora che ci sono timidi segnali di ripresa è tornata anche la fiducia delle famiglie che tornano a investire nella formazione su cui c’è stato anche uno sforzo da parte delle università meridionali per migliorare l’offerta.

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