Ho letto le 122 pagine del testo di Nicola Rossi “Venticinque% per tutti”, anticipato sul Sole 24 Ore del 25 giugno.
Faccio questa premessa perché credo che il dibattito su una proposta organica come quella lanciata dall’Istituto Bruno Leoni dovrebbe incentrarsi, oltre che su alcune scelte di fondo (flat tax sì–flat tax no), anche sull’architettura complessiva del sistema suggerito, che è ben più ampio.
Sul primo punto, e cioè sull’impostazione di fondo, piena condivisione. L’idea di trasformare l’Irpef in una “tassa piatta” (al di là del livello dell’aliquota, sul quale si può ragionare) ha mille ragioni per essere sostenuta, tutte riconducibili a quelle che indussero Milton Friedman a proporre la flat tax molti anni fa: stimolo alla produttività, spinta alla crescita, disincentivo all’elusione e all’evasione, oltre che semplificazione del sistema. Va a merito dell’Ibl, quindi, l’averla rilanciata, così come bisogna riconoscere ad almeno due partiti politici (Forza Italia e Lega Nord) – nonché a singoli esponenti (Daniele Capezzone su tutti) – di averla posta all’ordine del giorno fra le possibili riforme del sistema tributario.
Ciò detto, e venendo al merito, offro al dibattito qualche considerazione sulle novità che la proposta porterebbe dal punto di vista della fiscalità immobiliare. Il progetto prevede che la nuova Irpef al 25% venga applicata anzitutto sul canone degli immobili locati, che attualmente viene tassato in due forme: per le locazioni abitative da parte di persone fisiche, con una “cedolare secca” opzionale del 21% (l’aliquota è più bassa per i contratti “concordati”); per le altre locazioni abitative e per tutte quelle non abitative, obbligatoriamente con le aliquote Irpef a scaglioni. Sull’affitto, quindi, vi sarebbero in linea teorica miglioramenti o peggioramenti in relazione alle diverse situazioni (anche se una valutazione compiuta dovrebbe essere fatta considerando anche altre variabili).
La nuova Irpef, però, non si applicherebbe solo ai redditi effettivi, ma anche a quelli presunti. Secondo la proposta Ibl, infatti, sarebbero tassate le rendite catastali di tutti gli immobili non locati, e cioè dell’abitazione di residenza (la cosiddetta “prima casa”), delle case di villeggiatura e di tutti gli immobili (case, negozi, uffici, magazzini ecc.) che i proprietari non riescono né a vendere né ad affittare (situazione purtroppo assai diffusa a partire dalla manovra Monti in poi). È vero che, contestualmente, l’Imu verrebbe eliminata, ma con l’Irpef sulle rendite catastali si riproporrebbe la discriminazione fra tipologie di investimento già in essere: il risparmio collocato in immobili sarebbe tassato su base patrimoniale (con esiti, quindi, sostanzialmente espropriativi), mentre quello indirizzato altrove sarebbe esente (salvo l’imposizione sugli eventuali guadagni). Con conseguenze ancora più preoccupanti per via di un’altra previsione contenuta nella proposta Ibl: l’attribuzione ai Comuni della competenza a determinare le rendite catastali (di cui nel rapporto si mette in conto una possibile decuplicazione, con «incremento significativo del gettito»), ipotesi accantonata anni fa proprio per il rischio di caos e di aumenti di imposizione tributaria senza limiti. Per i proprietari di immobili, insomma, non varrebbe la rassicurazione – dall’Ibl associata alla proposta del 25% – che «Cesare non preleverà più di un quarto del frutto del nostro lavoro»: il frutto del lavoro, se impiegato in un immobile infruttuoso, sarebbe infatti tassato prima come reddito e poi come patrimonio.
La proposta prevede anche la sostituzione della Tasi (il “sedicente” tributo sui servizi, che in realtà è una Imu-bis) con una vera service tax a carico degli effettivi fruitori dei servizi e indipendente da elementi patrimoniali o reddituali. Scelta condivisibile, da Confedilizia portata avanti da anni, per la quale dovrebbe tuttavia valutarsi la fusione anche con la tassa rifiuti (che pesa per 10 miliardi di euro).
Ulteriori considerazioni dovrebbero essere svolte con riferimento all’imposizione sui trasferimenti immobiliari (che rimarrebbe immutata) e agli effetti dell’eliminazione delle detrazioni per ristrutturazioni, interessi sui mutui ipotecari e simili. Ma c’è già materia sufficiente per discutere.
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