La relazione tra uguaglianza, conseguimento del pieno sviluppo della persona e prelievo fiscale (artt. 2, 3 e 53 Cost.) è tra le più controverse. In essa - come in pochi altri luoghi - si addensa il senso di Civiltà di uno Stato, in equilibrio difficile e minacciato dalla mutevolezza dell’avidità umana e dal caso. L’interessante proposta di imposta piatta elaborata dall’Istituto Bruno Leoni, se ho ben compreso, in generale riconcepisce il rapporto uguaglianza, sviluppo della persona e prelievo nel contesto di una vistosa riduzione dell’imposta sul reddito e di una semplificazione dei modi con cui essa viene attinta (appunto, mediante una sola aliquota). E poiché dichiara di avere per obiettivo (insieme alla riduzione del carico fiscale sul reddito delle persone fisiche) la ricostituzione della progressività del sistema, sceglie di agire con una radicale revisione dei diritti di deduzione. Ricusazioni costituzionali all’adozione di una sola aliquota e al ripristino della progressività di sistema (anche) attraverso le deduzioni, in vero, non ve ne sono. Deduzioni e detrazioni, quindi, vengono qui ri selezionate secondo nuove vedute sociali, così come l’accesso alla spesa sanitaria, con esclusiva attenzione alle fasce meno abbienti fino a creare di fatto scaglioni “rovesciati”. L’azione sopra il regime giuridico ed economico di tali diritti, la contrazione della spesa sui redditi robusti e la previsione di un’imposta negativa, come minimo, aumentano le risorse di chi ha meno. E aumentare le risorse significa aumentare l’autonomia, ovvero, la capacità di resistere alle immorali vessazioni di chi ha di più.
Già solo per questo buon “sospetto” penso che la proposta di riforma dell’Ibl chieda un atteggiamento di rigorosa profondità nell’esame del suo dettaglio, e lo sussurro a me stesso prima che agli altri. Nell’autorevole intervento di Vincenzo Visco, ad esempio, mi è parso che le considerazioni alle quali egli è pervenuto lascino il retrogusto di un giudizio forse troppo frettoloso e liquidatorio. E spia di ciò, sarebbe anche il commento sul punto dello schema di riforma di portare indistintamente l’Iva al 25% (dove, viceversa, risulta che le clausole di salvaguardia restino intatte). L’attuale stato delle cose, tuttavia, mi persuade a due succinte riflessioni.
La prima: occorre domandarsi se le caratteristiche dell’economia e quelle culturali della società contemporanea siano ancora favorevoli a realizzare un sistema pienamente progressivo (per conto mio, il migliore) o forse non sia arrivato il tempo di affacciare soluzioni di “compromesso” non casuale. Insomma, se si tiene fermo l’obiettivo di dare più risorse a chi ha meno e per tale via, sviluppo alla persona e democrazia allo Stato, tendo a vedere una certa efficacia nell’elasticità delle opzioni, magari in una loro ponderata miscela. In breve: in questo momento storico, data la condizione di difficoltà della maggior parte delle persone, non mi importa così tanto se “il ricco” rischia di diventare “più ricco”, ma non rinuncio a vedere che chi ha meno migliori subito e profondamente la propria situazione economica. Da qui, poi, sarebbe meno complicato concepire qualcosa con maggiore “precisione sociale”.
La seconda: non credo che la società afflitta da inique differenze di reddito, davvero non accettabili, consenta di fare dell’uso dell’imposta un segno di discrimine tra Destra e Sinistra, tra chi è conservatore e chi progressista (Visco, loc. cit.). La mia idea, come detto in principio, è che la costruzione dell’uguaglianza e dello sviluppo della persona per il tramite del prelievo fiscale, in ultimo funzionale alla formazione della reale democrazia, sia un aspetto della Civiltà che si afferma. Null’altro.
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