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    Dossier | N. 22 articoliIl dibattito sull’Università - 40 anni persi

    Atenei competitivi con meritocrazia, certezza di tempi e stipendi a livelli Ue

    Il dibattito sull’Università si riavvia ciclicamente. Spesso sull’onda della spinta emotiva di notizie giornalistiche legate a statistiche o classifiche. Raramente si discute sul futuro della nostra Università in maniera ragionata per analizzare la situazione reale e costruire proposte.

    L’intervento di Dario Braga (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) sulle modalità di reclutamento ci dà una occasione di riflessione.

    Abbiamo una regola semplice che è sempre esistita e sempre esisterà in qualsiasi parte del mondo. Per avere una Università di qualità, competitiva e capace di offrire le migliori opportunità ai propri studenti bisogna scegliere i docenti più capaci. Il profilo di un docente capace è complesso. Deve essere in primo luogo un buon ricercatore perché dobbiamo insegnare nelle nostre aule i saperi di domani e non quelli di ieri. Soprattutto oggi che la complessità dei problemi da affrontare e la velocità del cambiamento e dell’innovazione tecnologica richiedono uno sforzo straordinario di aggiornamento continuo delle competenze. Deve essere poi un buon maestro. Capace di entrare in sintonia con la curiosità e le aspirazioni dei nostri studenti. Sempre più bombardati da una valanga di informazioni, ma sempre più desiderosi di apprendere metodi e strumenti di decodifica del presente e del futuro. Deve poi essere in grado di interpretare le funzioni di una nuova Università che è diventata il principale motore dello sviluppo economico e sociale dei territori e delle comunità.

    Essere un docente capace è tremendamente difficile. Richiede talento, passione e disponibilità al cambiamento.

    Per questo motivo un Paese che vuole porsi il problema di costruire un futuro positivo per i propri cittadini deve fare in modo che le proprie Università attraggano i migliori talenti. Per raggiungere questo risultato è necessario un mix di azioni e condizioni. Su alcuni punti voglio fare delle riflessioni.

    Il meccanismo di reclutamento è stato cambiato molte volte negli ultimi anni. Ogni metodo scelto ha presentato luci e ombre. La procedura utilizzata oggi credo stia dando buoni risultati con il doppio livello di abilitazione nazionale e concorso locale, ma soffre di eccessive rigidità, riducendo la discrezionalità per contrastare gli arbitri, e penalizzando in questo modo gli studiosi di frontiera rispetto ai settori disciplinari. Qualunque regola si applichi, la responsabilità di chi sceglie è determinante e va rafforzata sempre di più utilizzando la leva della valutazione ex-post che deve essere severa con un sistema certo e rapido di premi e penalizzazioni. L’introduzione nella ripartizione dell’Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) dell’indicatore legato alla performance dei docenti reclutati ha sicuramente contribuito a favorire scelte di qualità nei dipartimenti come i dati della Vqr (Valutazione della qualità della ricerca) dimostrano in maniera chiara. Arrivare a meccanismi di scelta più semplici, controbilanciati da valutazioni più severe, è un obiettivo da perseguire.

    Ma avere una selezione meritocratica non basta per attrarre i migliori in un mercato della ricerca sempre più globale e competitivo dove la qualità del capitale umano rappresenta la leva fondamentale per creare sviluppo economico e benessere sociale.

    Per attrarre dobbiamo parlare di certezza dei tempi e delle regole, stipendi e opportunità di ricerca. I tempi di ingresso nel percorso universitario debbono essere ragionevoli e certi. Oggi esiste un lungo precariato con regole spesso non chiare e che cambiano nel tempo. È giusto che ci sia un periodo congruo di prova che consenta alla struttura di valutare le attitudini di chi aspira a svolgere il difficile ruolo di ricercatore, ma per chi segue questa aspirazione ci deve essere la certezza che dopo questo periodo ci sia l’opportunità concreta di avere una posizione definitiva. Per ottenere questo è necessaria una semplificazione del pre-ruolo e piani pluriennali di investimento che consentano alle università di programmare il reclutamento con una ragionevole sicurezza.

    Gli stipendi debbono avere una dimensione europea. Altrimenti, come già avviene in un mercato globalizzato, i migliori nostri giovani preferiscono le università straniere e gli stranieri non vengono in Italia. Oggi negli altri Paesi il salario di ingresso è più che doppio e la vicenda del blocco degli scatti dimostra amaramente quale è la considerazione nella quale il mondo della ricerca viene tenuto nel nostro Paese. Con stipendi dignitosi e opportuni incentivi la mobilità dei docenti di cui tanto abbiamo bisogno può essere realizzata concretamente.

    Le opportunità d ricerca debbono essere garantite. Un giovane ricercatore di qualità non investirà mai il periodo più creativo della propria vita in luoghi dove non ci sono infrastrutture e adeguate risorse per la ricerca perché non potrà realizzare i propri progetti e quindi costruire il proprio futuro. I tagli negli investimenti degli ultimi anni hanno profondamente ridimensionato il nostro sistema e solo le grandi capacità dei nostri ricercatori hanno consentito all’Italia di non arretrare nella competizione mondiale. Ma nella durissima competizione dell’oggi e del domani non basta la buona volontà, servono progetti e risorse.

    Viviamo una stagione cruciale per il futuro del Paese. Nell’epoca dell’economia della conoscenza la competizione economica si gioca sul tavolo delle competenze e dell’innovazione. Abbiamo grandi ricercatori e giovani straordinari. Partiamo da loro per vincere la sfida del futuro.

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