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La disoccupazione giovanile si combatte anche all’università

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La disoccupazione giovanile si combatte anche all’università

Gentile Fabrizio Galimberti,

Quando avevo 14 anni a noi ragazzi di Mirafiori dopo le scuole medie i genitori ci dicevano: «Se vuoi studiare, bene. Altrimenti vai a lavorare». Così molti miei compagni che non avevano voglia di studiare andavano a fare i commessi, i panettieri, c’era chi aiutava la bottega dei genitori, chi l’aiuto meccanico, i più disperati mettevano volantini nelle buche ma, piano piano tutti trovavano una loro sistemazione. Oggi queste possibilità non ci sono, il lavoro non c’è. Non c’è per chi non ha i titoli di studio sufficientemente alti, non c’è per chi non ha le conoscenze giuste. Finiamola con la retorica che i giovani non hanno voglia di lavorare. C’è Luca che tutte le sere frigge arancini per 10 euro finché la notte non incontra l’alba, Marco lava le zucchine nei campi per due euro l’ora, Christian è andato a fare il bagnino per quattro euro all’ora, ma gli altri non hanno trovato neanche il modo di essere sfruttati. Il lavoro è un diritto, è una necessità vitale, non averlo non è una colpa. E se l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro se i giovani non lavorano non è solo un loro problema, ma è la Repubblica stessa a venir meno e questo è un problema di tutti.

Fabrizio Floris

Caro Floris,

le sue considerazioni, e specialmente la bella chiusa della sua lettera, mi trovano totalmente consenziente. Ma allo stesso tempo mi fanno sorgere altre domande. La disoccupazione giovanile in Italia, al 37% secondo gli ultimi dati, è molto elevata; la media dell’eurozona è al 19%, e in Germania siamo al 7%. Questo vuol dire che il non trovar lavoro non è una maledizione biblica che colpisce tutti i Paesi avanzati. Colpisce noi e dobbiamo capire il perché e fare quel che fanno gli altri per toglierci di dosso questo flagello. O fare quel che facevamo noi stessi, perché la disoccupazione giovanile non sempre è stata così alta. Prima della Grande recessione avevamo raggiunto un minimo del 19,4% (aprile 2007, circa la metà della percentuale di oggi) e non eravamo discosti di molto dalla media eurozona (14,9%).

Il che vuol dire che una grossa ragione del non trovar lavoro sta nel fatto che l’economia ha subìto duri colpi, prima con la crisi del 2008-2009, e poi con la coda velenosa della crisi da debiti sovrani. Ora è in corso una lenta ripresa, che toccherà anche il mercato del lavoro. Ma c’è anche una ragione strutturale che si ritrova in un’altra statistica, quella relativa alla scolarità universitaria. Da noi gli studenti nel ciclo di educazione terziaria sono una percentuale molto minore rispetto a quel che avviene negli altri Paesi. Se l’università funzionasse meglio e se più giovani si preoccupassero di migliorare la loro formazione (come lei dice, «il lavoro non c’è per chi non ha i titoli di studio sufficientemente alti»), ci sarebbero meno disoccupati giovani. A parte l’effetto tecnico sul tasso dei senza-lavoro (gli studenti universitari non sono contati nella forza lavoro e quindi il tasso di disoccupazione giovanile scenderebbe) avremmo un capitale umano di migliore qualità e con migliori prospettive di occupazione.

I casi di sfruttamento da lei citati stanno sfilacciando il tessuto sociale e un’intera generazione rischia passività e rassegnazione. Dobbiamo agire sulla domanda – rilancio della crescita – e sull’offerta formativa.

fgalimberti@yahoo.com

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