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Se la Golden share non è uguale per tutti

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L'Analisi|AZIENDE strategiche

Se la Golden share non è uguale per tutti

Perché la Francia può sempre difendere le aziende nazionali dai take over stranieri, mentre l’Italia sembra avere sempre le mani legate dall’Europa? Perché l’Ilva o l’Alitalia non possono diventare aziende di Stato, mentre la Francia può investire in Air France, comprarsi il colosso nucleare Areva per evitarne il fallimento o addirittura nazionalizzare i cantieri navali Stx per impedire che diventino italiani? Il ruolo geopolitico e l’influenza economica e finanziaria giocano certamente (o forse purtroppo) a favore dei francesi, che come i tedeschi si considerano ormai gli azionisti di maggioranza dell’Europa.

Ma dietro l’arroganza con cui l’Eliseo ha bloccato Fincantieri (e la stessa sorte era già toccata all’Enel) o con cui ha cercato di impedire alla General Electric di comprare i generatori dell’Alstom per venderli alla Siemens, c’è molto di più del denaro pubblico o dell’asse franco-tedesco: c’è un sistema paese che ha saputo imporre le proprie regole del gioco con politiche industriali coerenti, con leggi tarate sugli obiettivi di crescita del sistema economico e finanziario e soprattutto con una rete di protezione delle aziende e dei settori ritenuti strategici con oltre venti anni di anticipo sull’Italia.

Oggi si guarda alle scelte francesi con stupore e indignazione, ma è dai primi anni 80 che sono state gettate le basi di questo «protezionismo strategico» nel silenzio generale: Parigi ha prima selezionato i settori strategici dando loro priorità negli investimenti, soprattutto quando si trattava di aziende di Stato, poi ha sostenuto anche i gruppi privati con generosi incentivi pubblici. Quando i “campioni nazionali” hanno preso corpo, la Francia ha introdotto le Golden share nella propria legislazione per proteggerne la proprietà. Il risultato è un record unico tra i Paesi industrializzati: un rapporto di uno a quattordici tra le acquisizioni estere di imprese francesi e quelle fatte da imprese francesi su aziende straniere.

Anche noi in un primo tempo abbiamo seguito la stessa politica dell’Eliseo, naturalmente all’acqua di rose, ma comunque permettendo a Enel, Telecom Italia ed Eni di crescere, sia pure per vie diverse. Poi non si è parlato più di politica industriale per quasi 25 anni. Talvolta siamo andati anche in senso contrario: vedi la privatizzazione di Telecom, che inseguendo il miraggio della public company ha fatto esplodere il debito costringendo l’azienda a ritirarsi da molti mercati esteri. E anche di questo approfitta oggi Bolloré.

Si può essere più o meno liberisti o protezionisti, ma è un dato di fatto che la Francia, come tutte le maggiori potenze industriali europee e mondiali, ha costruito questo sistema di protezione guardando più al futuro che al presente. La globalizzazione e la campagna di acquisizioni lanciata dai fondi sovrani arabi e dai colossi industriali russi e asiatici ha trasformato il sistema industriale occidentale in una sorta di supermercato delle migliori imprese, anche di quelle che sarebbe meglio tenersi in casa. Il problema da affrontare ora non è quindi soltanto la ricerca di una soluzione alla crisi diplomatica provocata dallo stop a Fincantieri o dalle manovre sospette su Mediaset e su Telecom Italia.

Il nodo sta nel decidere che ruolo giocare non solo in Europa, ma anche nella redistribuzione internazionale dell’industria e del lavoro in questa fase di incertezze geopolitiche e di risvegli nazionalistici. In un mercato globale, la Golden share vale poco se i pochi “campioni nazionali” non sono messi in condizioni di rafforzarsi e di crescere: certo, gli impegni europei restringono i margini dei possibili interventi, ma non lo chiudono ad azioni mirate, volte a favorire l’innovazione come l’internazionalizzazione.

Oggi sono molti in Italia a invocare gli stessi diritti dei francesi e il potenziamento del Golden power, visto che la legge attuale, che risale al 2014, si è rivelata del tutto inutile: dal 3 ottobre 2014 al 30 giugno 2017 sono stati emanati solo 5 decreti con prescrizioni correttive su 30 operazioni notificate da aziende straniere, mai si è arrivati a porre il veto. Dopo lo scontro con la Francia, il governo ha annunciato l’intenzione di modificare la legge avvicinandola di più a quella francese ma nel rispetto dei nostri partner. Comportarsi come ha fatto l’Eliseo con Fincantieri non è accettabile, ma difendersi dagli abusi è un diritto. Appellarsi ai trattati, alle istituzioni europee e alle responsabilità istituzionali dell’Unione sembra oggi del tutto inutile. Come altrettanto inutile è domandarsi il costo che la stessa Francia pagherà per atteggiamenti miopi e di corto respiro. Ricordando l’orgoglioso «C’est la France!» col quale il Presidente De Gaulle chiudeva ogni suo discorso alla nazione, si può però chiedere a Macron «Que serait la France, aujourd’hui, sens l’Europe»?

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