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Aiutare i migranti a tornare nei loro Paesi dopo averli formati

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Aiutare i migranti a tornare nei loro Paesi dopo averli formati

Caro Galimberti,
una troppo accesa discussione sta avendo luogo a proposito delle politiche migratorie, si contrappongono incomprensibilmente coloro che sono favorevoli ad accoglierli e coloro che preferiscono aiutarli a casa loro. Un approccio più meditato consiglierebbe di unificare i due punti di vista e chiedersi: sarebbe possibile invertire parzialmente i flussi migratori?
Aiutarli a casa loro significa soprattutto offrire occasioni di lavoro, dunque occorrono investimenti. Ma le imprese che ci hanno provato hanno scoperto che non è facile trovare la forza lavoro qualificata e purtroppo sono soltanto le imprese che possono mobilitare capitali sufficienti per fare la differenza: gli aiuti agli Stati non danno buoni frutti e non creano reti commerciali. Per la verità se fosse possibile far nascere un vera organizzazione produttiva e di vendita in loco, le aziende avrebbero interesse a sfruttare gli evidenti differenziali salariali e ad entrare in un mercato che cresce a ritmi allettanti. Se gli immigrati potessero formarsi e lavorare in Italia, in qualche caso potrebbero conquistarsi la fiducia dei datori di lavoro, essere selezionati e trovare incentivo negli stessi differenziali salariali per tornare nei loro Paesi e impiantare lì le filiali delle imprese a cui sentono di appartenere. Questo porterebbe a uno sviluppo economico reale, ridurrebbe i flussi in uscita e avvierebbe un flusso di ritorno. Concentrare la discussione su questa più ampia e feconda prospettiva e sulle politiche pubbliche che possano darle respiro a me pare un modo concreto per uscire da inutili e nefaste contrapposizioni.

Enrico Petazzoni

Caro Petazzoni, lei ha ragione, “aiutarli a casa loro” non vuol dire necessariamente dover investire capitali nei Paesi di provenienza, o spingere sugli aiuti all’estero. “Aiutati che Dio t’aiuta”, dice il proverbio, e in questo caso è l’immigrato stesso che si aiuta, sfruttando la professionalità acquisita da noi per una immigrazione di ritorno, che fa il viaggio inverso per impiantare un’attività nel proprio Paese di origine. O, come dice lei, per agire come “agente in loco” per conto di un’impresa italiana che voglia cavalcare l’onda di mercati in crescita. Oppure - sempre se ha avuto successo da noi - tornare al proprio paesello con un gruzzolo che gli permette di vivere nella casa e nella cultura avite, come tanti emiganti italiani che tornavano a “pensionarsi” in Italia, magari facendo vedere al villaggio da cui erano fuggiti in miseria, come avevano sormontato le avversità e si erano fatti “ricchi”...

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