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Agroalimentare, Italia campione dei «nuovi gusti»

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INDUSTRIA/2

Agroalimentare, Italia campione dei «nuovi gusti»

Il segnale, forte e chiaro, lo ha dato qualche giorno fa Denise Morrison, Ceo della celebre Campbell Soup Co. «Quelle companies che non vogliono o scelgono di non cambiare, sono fuori dalla corsa contro il tempo». Con queste parole la top manager americana descrive bene la situazione in cui si stanno dibattendo i gruppi agroalimentari multinazionali. Cioè quello di produrre e proporre ai consumatori cibi “vecchi” quando invece la domanda sì è spostata su altri fronti: zero zucchero, zero nitrati, zero polifosfati, zero conservanti, più freschezza, più salubrità, più sostenibilità.

Con una battuta scherzosa – ma poi nemmeno tanto – un manager di primo livello di Kellogg’s ha detto di recente che il fenomeno “quinoa” sta mandando al tappeto i protagonisti di sempre dell’agroalimentare. Intanto stanno nascendo start-up e nuove aziende più veloci nel rispondere alla domanda di cibo “nuovo” dei consumatori. E in questo l’Italia si trova a raccogliere la sfida in prima posizione.

Nella sola ultima edizione di Cibus a Parma, le aziende hanno presentato più di 1.500 prodotti nuovi e innovativi. Al Macfrut di Rimini a maggio gli espositori hanno proposto un centinaio di nuovi prodotti. Tutti naturali, tutti salutistici, tutti “bio” o “veg” o attenti ai valori nutrizionali. È con queste idee che più di 6mila industrie italiane di trasformazione si fanno strada ogni giorno nei mercati nel mondo. Innovazione nel solco della tradizione.

I consumi riprendono

Dopo cinque anni di stagnazione, i consumi alimentari delle famiglie italiane hanno ricominciato a crescere. Nel primo semestre dell’anno l’incremento stimato da Ismea-Nielsen è del 2,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. «Dopo la lieve contrazione del 2016 (-0,6%), la ripresa della spesa per l’agroalimentare nel primo semestre 2017 è sostenuta non più solo dai prodotti confezionati (+3,2%), ma anche dai freschi (+1,1%). I leitmotiv delle scelte merceologiche degli acquirenti – sottolineano Ismea-Nielsen – continuano a essere, oltre alla sobrietà (meno atti d’acquisto e minori volumi) e all’attenzione al risparmio (ancora tanti gli acquisti in promozione), gli aspetti salutistici». «Sobrietà», «risparmio» e «salutismo» sono quindi le parole chiave che hanno condizionato e condizioneranno sempre di più i consumi alimentari. E non solo in Italia. Con la crisi dell’economia il marketing delle industrie di trasformazione per mantenere adeguati livelli di vendita ha insistito, oltre che sulle promozioni, su concetti quali la sostenibilità, il “bio” e il “veg”, i valori nutrizionali. Una sfida per l’industria, ma anche per l’agricoltura, che si è giocata sul filo dell’innovazione di prodotto e di processo, e dei prezzi. Aprendo il mercato a nuovi competitor. Una recente inchiesta del Wall Street Journal spiega come le vendite dei primi 25 gruppi multinazionali alimentari americani siano in declino a causa dei ritardi negli aggiornamenti delle formule e degli ingredienti. Il consumatore chiede sempre più freschezza, salubrità e convenienza. E su questo il made in Italy è all’avanguardia.

Il sistema Italia

Al giugno 2017 l’osservatorio AgrOsserva di Ismea registra una tendenza sostanzialmente positiva per il settore agroindustriale. Se sui valori del 2016 ha pesato in forma evidente la crisi derivata dalla volatilità dei prezzi di molte materie prime (latte, carni suine e bovine), il primo semestre dell’anno in corso evidenzia una ripresa marcata. A cominciare dall’occupazione (+1,3%), dove il lavoro giovanile è in controtendenza rispetto al dato nazionale. «Le imprese agricole presenti nel Registro delle imprese, fotografate negli archivi Infocamere a fine marzo 2017 – spiega il rapporto – sono circa 751mila unità (12% del totale delle imprese italiane) e risultano in lieve calo su base annua (-0,3%), con un dato simile a quelli registrati anche nei trimestri del 2016. Tra i dati positivi, vanno evidenziati invece i progressivi aumenti delle imprese agricole giovanili rispetto all’anno precedente, registrati a partire dal secondo trimestre 2016, arrivando a segnare un +9,3% a marzo 2017; analizzando l’andamento dello stock di imprese giovanili, esso ha raggiunto un picco a dicembre 2016, per poi ridursi nel primo trimestre di quest’anno; nel complesso si tratta di circa 49 mila imprese di giovani agricoltori, pari al 6,6% delle imprese agricole totali».

BILANCI E PREVISIONI
Le cifre di base dell’industria alimentare italiana (Fonte: Federalimentare)

Sul fronte dell’industria di trasformazione, invece, le imprese giovanili sono 5.400, pari al 7,7% del totale di settore. Molte di queste aziende sono startup innovative, nate da rapporti con Università e forti nel trasferimento tecnologico. Dal punto di vista della produzione l’ufficio studi di Federalimentare segnala una crescita che si sta consolidando. «Nel maggio 2017 il settore registra, su indici grezzi, un aumento del +3,9% sullo stesso mese dell’anno precedente. Tale variazione si corregge marginalmente in un +4,0% a parità di giornate, avendo avuto il mese 22 giorni lavorativi come il maggio 2016. Il settore e il totale industria mostrano, quindi, un netto rimbalzo dei trend evidenziati nei progressivi precedenti. Essi si traducono, per il settore, in variazioni sui cinque mesi pari al +0,8% su indici grezzi e al +1,1% a parità di giornate (dopo il +0,2% a parità di giornate registrato nei quattro mesi)».

L’export, punto di forza

L’obiettivo fissato all’Expo di Milano era di arrivare a un valore di 50 miliardi al 2020. Lo scorso anno l’industria agroalimentare italiana ha esportato per un valore di 31,5 miliardi (+5%). Il saldo della bilancia commerciale è in attivo per quasi 11 miliardi. E la tendenza è confermata anche per il 2017. Sempre secondo i dati di Federalimentare «il consuntivo del quadrimestre registra una quota export di 9.637,3 milioni di euro. Ne esce una variazione del +4,6% sul gennaio-aprile 2016, in netto calo rispetto al +7,1% del trimestre. Le anticipazioni Istat indicano tuttavia un recupero del trend oltre il 6% del tendenziale successivo. Il quadrimestre conferma, a dispetto dell’embargo la vistosa punta espansiva della Russia (+38,0%). A tale performance si affiancano in varia misura il Brasile (+52,3%), Singapore (+29,3%), la Romania (+21,9%), la Turchia (+21,1%), il Portogallo (+20,1%), l’Ungheria (+18,8%), la Spagna (+15,2%) e la Cina (+14,6%). E gli Usa con un più contenuto +4,5 per cento.

I BEST SELLER SUL MERCATO ESTERO
I principali prodotti esportati (totale: 9.637,3 milioni di euro), periodo gennaio - aprile 2017. Incidenza % sul totale e nel balloon l’ammontare in milioni di euro

Gli accordi internazionali

L’intesa tra Ue e Canada (Ceta) e quella tra Ue e Giappone segnano un punto importante per l’export di prodotti alimentari. A titolo di esempio con il Ceta si apriranno nuove opportunità con l’apertura di un contingente di oltre 17mila tonnellate di formaggi in più da esportare in Canada. Inoltre Parmigiano Reggiano, Grana Padano e importanti altri Dop ed Igp non sono oggi in nessun modo tutelati in Canada dove la vendita di Parmesan è perfettamente legittima. Con il nuovo accordo diventa vietato l’utilizzo di tali denominazioni a tutto nostro vantaggio. Per quanto riguarda il Giappone, circa l’85% dei prodotti agroalimentari europei esportati sarà progressivamente esente da dazi. Si stima l’87% del valore attuale delle esportazioni di prodotti agricoli in Giappone. I formaggi Dop italiani tutelati dall’accordo bilaterale – spiega Assolatte – rappresentano il 42% dei formaggi europei previsti dall’intesa. Nel primo quadrimestre di quest’anno l’export caseario europeo in Giappone è cresciuto del 40%, quello italiano è aumentato del 20%. Le potenzialità per il made in Italy nel mondo sono ancora enormi.

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