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Quei 100 e lode facili che tradiscono il merito e gli studenti

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Quei 100 e lode facili che tradiscono il merito e gli studenti

Siamo sicuri che il boom dei 100 e lode alla maturità sia davvero una buona notizia? Il primo dubbio me lo fanno sorgere i racconti di un caro amico che “esamina” regolarmente gli studenti di un’università milanese. Ragazzi che magari (magari, eh..) hanno studiato, ma che spesso non sono in grado di ragionare, di mettere in relazione le une con le altre le cose che hanno imparato, di contestualizzare quanto appreso per la loro imbarazzante mancanza di contesto (non leggono buoni libri, non vedono buoni film, non osservano con spirito critico la realtà). L’altro motivo di scetticismo viene dalla distribuzione geografica dei 100 e lode: più numerosi al Sud dove i risultati dei test Invalsi sono meno buoni che al Nord. Strano, no? E piuttosto fastidioso per chi non riesce ad accedere al corso universitario preferito perché scavalcato da uno studente con un voto di maturità ingiustificatamente più alto del suo.
Giuseppe Belviso

In questa stagione, l’argomento è popolare; ed è un buon segno che l’opinione pubblica se ne appassioni.
No, non siamo affatto sicuri che i 100 siano tutti eguali (la commissione esterna della vecchia maturità, da questo punto di vista, assicurava maggiori garanzie di un giudizio meno parziale): c’è anche da aggiungere che, anche per questa ragione, ormai molte università non si affidano più esclusivamente al voto di maturità per selezionare i futuri studenti.
L’argomento principale del lettore, perciò, è il primo: come fare in modo che gli studenti “maturi” abbiano raggiunto un livello di formazione che li renda adatti a sostenere non solo gli studi universitari (e sono ancora troppo pochi a farlo) ma un normale percorso professionale.
Ognuno di noi, insegnante o meno, ha molti aneddoti che potrebbe raccontare e che certo scoraggiano sulla preparazione complessiva degli studenti ad affrontare un futuro professionale che sarà, qualunque studio o mestiere intraprendano, accidentato.
Più che agli esami finali, perciò, occorrerebbe considerare il modello formativo che stiamo offrendo alle giovani generazioni, per valutare se esso sia o meno adeguato a questo nuovo profilo che serve. Il quale, intendiamoci, è fatto non solo di un po’ meno di latino e un po’ più di inglese (comunque: viva il liceo italiano!), ma soprattutto di un orientamento a formare persone che siano in grado di comprendere per tutto il corso della propria vita lavorativa che il bagaglio formativo non è mai acquisito per sempre ma che abbisogna di continui aggiustamenti e aggiornamenti. L’obiettivo dovrebbe essere quello di mettere in testa ai ragazzi che l’importante non è aver imparato, ma continuare a imparare, e non solo sui banchi di scuola.
Sarebbe bene che anche le famiglie lo capissero, anziché incoraggiare, come spesso fanno, al lassismo: i 100 facili, infatti, non sono un regalo, ma un tradimento degli studenti, perché inducono a credere che col diploma in tasca il più sia fatto. Proprio in questo clima, perciò, tornerebbero utili proposte drastiche come l’abolizione del valore legale del titolo di studio, che attribuirebbe il valore che meritano ai 100 taroccati e alle scuole che li inflazionano: zero.

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