Il sistema duale di formazione terziaria in Italia è in ritardo rispetto agli atri Paesi europei. Gli Istituti tecnici superiori (Its) nascono solo nel 2010 per formare tecnici superiori in aree strategiche per lo sviluppo economico e la competitività del Paese.
Rappresentano la prima esperienza italiana di offerta formativa terziaria professionalizzante che ha uno stretto rapporto con il sistema produttivo. Rispondono alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche e si ispirano a modelli già consolidati in altri Paesi europei (Germania, Svizzera e Francia). Gli Its in questi anni hanno raggiunto risultati importanti, ma non ancora soddisfacenti: nel 2016 contano solo 6mila diplomati con però un tasso di occupazione alla fine dei corsi di circa l’80 per cento. Numeri molto piccoli se confrontati con gli altri Paesi: in Germania, il 15% della popolazione giovanile si registra negli istitutiti di formazione tecnica superiore (i cosiddetti “Fachochshule”).
Dopo che nella scorsa legge di bilancio fu fatto un tentativo di raddoppiare i fondi al sistema Its (tentativo poi fallito per le note vicende del referendum del 4 dicembre che ha portato a una fine prematura della discussione della legge di bilancio) quest’anno il sistema Its è al centro delle attenzioni di 3 ministeri (Miur, Mise e Mlps) che riconoscono l’importanza di sviluppare un sistema di apprendimento duale legato alla domanda delle imprese. Nel frattempo però si è anche sviluppato un dibattito sulle lauree professionalizzanti: le Università in autonomia potrebbero voler istituire corsi di laurea al di fuori degli ordinamenti esistenti e vicini (troppo vicini per alcuni) ai corsi già istituiti dagli Its.
Le Università godono di un vantaggio formidabile: il titolo di laurea (troppo poco frequente anche nelle nuove generazioni) è un attrattore dell’interesse delle famiglie ma anche delle imprese che possono trovare più interesse a “sponsorizzare” un corso di laurea di un’Università piuttosto che di un oscuro Its. Gli Its però hanno un’operatività superiore delle Università: non devono seguire la logica di occupabilità dei professori prima che degli studenti e invece seguono la logica delle richieste delle aziende; richieste che si trasformano in corsi versatili e diversi di anno in anno anno, progettati ed erogati al 50% da personale esperto delle aziende, che per questo considerano i corsi aderenti alle loro esigenze attuali e future e idonei a orientare e a reclutare gli studenti. Corsi che devono mantenere una qualità elevata, se vogliono continuare ad attrarre nuovi studenti. Per questo una valutazione seria di questi percorsi di istruzione è fondamentale.
Oggi gli Its permettono di acquisire un diploma tecnico superiore con riferimento alle “figure nazionali” dei diplomi di tecnico superiore, con percorsi correlati alle sei aree tecnologiche (energia, meccanica, agroalimentare, ecc.). I corsi Its consentono l’acquisizione di crediti riconosciuti dalle Università ma ad oggi questa “passerella” è ben poco utilizzata dagli studenti: gli Its e i corsi universitari sono considerati due mondi a sé, chi va all’Its non va all’Università e viceversa.
Ma non necessariamente deve essere così, soprattutto in un Paese dove il 20% in media dei ragazzi che si iscrive al primo anno di Università abbandona prima di iscriversi al secondo anno. In realtà la “passerella” che non esiste e che invece avrebbe molte potenzialità è quella dall’Università all’Its. Nella cartina a fianco abbiamo raccolto il numero degli studenti che abbandonano dopo il primo anno di Università per le maggiori province italiane. E li abbiamo sovrapposti agli Its attivi sul territorio nazionale. Quando un ragazzo abbandona l’Università lo fa perché ha trovato un posto di lavoro oppure perché ha capito che il corso che ha scelto è sbagliato. Molto spesso questi ragazzi non sanno neanche che esistono gli Its che peraltro offrono corsi di studi assai vari che ben si attagliano ad accomodare molte preferenze.
Se l’Università che viene finanziata con Ffo a seconda del numero degli studenti iscritti potesse annoverare tra questi anche gli studenti che abbandonano ma che si iscrivono a un Its alla cui Fondazione l’Università partecipa, si potrebbe far convergere gli interessi di Università e Its. E anche gli interessi del Paese a non disperdere le energie di molti giovani che lasciano troppo presto gli studi. Abbiamo fatto un conto di massima: ogni anno quasi 38mila matricole non si iscrivono al secondo anno di Università, se solo metà di loro continuasse gli studi in un Its, avremmo quadruplicato il numero dei diplomati dell’Its (che trovano subito lavoro). Se poi parte di loro, diciamo la metà, alla fine del diploma Its volessero fare un ultimo anno di Università al fine di ottenere la laurea, avremmo incrementato di 10mila laureati il magro conto delle Università italiane.
Solo puntando su di un serio modello basato sulla valutazione e sul collegamento fra Its e Università, si potrà fare un passo in avanti verso un sistema duale terziario che sia al pari di quello degli altri partner europei.
Marco Leonardi è consigliere economico della Presidenza del Consiglio
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