
Dieci anni dopo la strage di Duisburg – che il giorno di Ferragosto del 2007 lasciò stesi davanti a un ristorante italiano sei calabresi nell’ambito della faida di San Luca partita nel ’91 – la Germania non ha ancora capito che le mafie non sono solo “coppola e lupara”.
In realtà non lo sono mai state, ma la Germania sembra navigare ancora nella scia della famosa copertina del settimanale Der Spiegel del luglio 1977: un piatto di spaghetti in bianco, con una P38 adagiata sopra a mo’ di condimento. Il titolo era «Italia, Paese delle vacanze». Lo strillo di copertina voleva essere ironicamente stridente: «Sequestri, estorsioni, rapine». Sai le risate.
La generalizzazione rispondeva all’immagine riflessa che per i tedeschi lo specchio (der spiegel appunto, nella lingua di Goethe) restituiva dell’Italia. Stereotipi con i quali parte del popolo tedesco continua oggi a dipingere l’Italia intera non capendo, paradossalmente, che l’assenza di sequestri, estorsioni, coppole e lupare non significa che la mafia non infiltri la società e l’economia. Stereotipo per stereotipo, un bel piatto di misto di crauti e spaghetti con sopra un codice di diritto e una laurea, potrebbe descrivere su qualunque settimanale italiano e tedesco l’evoluzione delle mafie che non sparano, non sequestrano e non estorcono. Semplicemente perché non ne hanno bisogno per fare affari.

La distorsione del fenomeno
Persino il fatto che non si spari più non vuol dire che le mafie non continuino a riempire gli spazi. Hanno provato a spiegarlo, agli italiani e ai tedeschi, Franco Roberti e Francesco Curcio, rispettivamente capo e sostituto della Procura nazionale antimafia. Nell’ultima relazione scrivono che «l’ultimo grande omicidio di ’ndrangheta, non a caso, risale al 2008, anno in cui venne ucciso Rocco Molè, capo dell’omonima e potente famiglia del cosiddetto mandamento tirrenico e, complessivamente, le vicende di Duisburg e dintorni appaiono davvero il ricordo di un passato remoto».
Molto più recentemente ha provato a spiegarlo ai tedeschi il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nel corso del convegno “Libertà e sicurezza: come affrontare la criminalità organizzata in Europa?” organizzato il 12 luglio nell’ambasciata d’Italia a Berlino dall’associazione “Mafia? Nein danke!”.
Lombardo – che con la Procura di Reggio Calabria sta portando avanti da anni delicatissime indagini proprio sulla componente riservata e invisibile della ’ndrangheta e sui legami con l’analoga componente di Cosa nostra – ha spiegato che «la ’ndrangheta non ha bisogno di trasportare denaro in valigia verso la Germania per riciclarlo: lo fanno le banche». Credete che queste parole abbiano turbato le autorità presenti? Macché. Peter Henzler, vicepresidente della Bundeskriminalamt (Bka), la Polizia federale, ha constatato «solo piccole lacune della legislazione antiriciclaggio tedesca».
Investimenti ad ampio spettro
E dire che a Henzler, così come al ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizière, non possono essere sfuggite le slide proiettate da Lombardo che riassumono una quota parte delle infiltrazioni della ’ndrangheta che si è insinuata strisciando e senza sparare nell’economia tedesca. Assia, Turingia, Baden-Württemberg, Renania, Baviera: non c’è praticamente Land che non conosca il radicamento delle grandi famiglie di ’ndrangheta.
Papalia, Grande Aracri, Romeo, Pelle-Vottari, Nirta-Strangio, Mammoliti e Morabito sono solo alcuni dei nomi che hanno investito e riciclato le immense fortune dei sequestri prima e del traffico di droga poi in ristorazione, traffico d’armi, immobili, commercio, acciaierie e contraffazione di marchi tedeschi. Una lista per difetto, ovviamente.
Fortuna che de Maizière, per non apparire un marziano, ha ricordato che pochi giorni prima era entrata in vigore l’attuazione della decisione quadro europea sulla lotta alla criminalità organizzata del 2008 che dovrebbe portare (il condizionale è d’obbligo) alla criminalizzazione della partecipazione attiva in clan mafiosi. Non esiste ancora la legge sull’inversione dell’onere della prova, «invocata e attesa da molti investigatori, per la quale i criminali dovrebbero provare l’origine legale dei propri capitali» sottolinea al Sole 24 Ore Sandro Mattioli, presidente di “Mafia? Nein Danke!”, anche se de Maizière ha ricordato l’attuazione di un onere della prova meno rigido, in vigore dal 1° luglio di quest’anno. «Analizzeremo fino a che punto questo strumento sia compatibile con la lotta alla criminalità organizzata», chiosa Mattioli. A questi provvedimenti va aggiunta la legge sulla confisca dei beni approvata il 13 aprile 2017 ed entrata in vigore il 1° luglio.
Felicità e prosperità
Leggi o non leggi, la ’ndrangheta continua la sua folle corsa silente. Il 7 luglio 2005 l’operazione Rheinbrücke (Ponte sul Reno), ha portato all’arresto di 10 presunti ’ndranghetisti della “locale” di Rielasingen (Baden-Württemberg) e della “locale” di Fabrizia (Vibo Valentia). Le “locali” sono cellule strutturate con almeno 49 affiliati.
Le indagini hanno consentito, per un verso, di individuare altri affiliati alla “locale” di Singen” e al tempo stesso di accertare l’esistenza di altre “locali” omologhe nelle città di Rielasingen, Ravensburg ed Engen (tutte nel Baden-Württemberg, meta preferita delle mafie) e per un altro verso di comprendere il rapporto che lega le cellule tedesche alla ’ndrangheta della provincia di Reggio Calabria; in particolare quella di Rosarno e San Luca.
Non solo ’ndrangheta
In attesa di risposte concrete, i porti maggiormente utilizzati per l’importazione di merci contraffatte sono in Germania e nei Paesi Bassi (Amburgo e Rotterdam), dove passano a tonnellate anche droga e tabacchi contraffatti. Come se non bastasse la ’ndrangheta, ecco comparire la camorra (le principali attività illecite dei clan sono legate alla vendita delle merci contraffatte) e Cosa nostra, che non vive solo di rendita. Il 26 giugno, tra Germania e Italia, in un’operazione congiunta tra Guardia di finanza del Nucleo di Polizia tributaria di Palermo e Polizia criminale del Baden-Württemberg, sono state fermate 20 persone di nazionalità italiana e tedesca, ritenute appartenenti a un’associazione a delinquere transnazionale che trafficava droga e armi.
Al vertice della banda c’era un pluripregiudicato imprenditore palermitano emigrato in Germania nel 2007, che gestiva due ristoranti, uno a Rottweil e l’altro a Villingen (Germania). Evidentemente gli spaghetti – sulla copertina di un settimanale o sul tavolo di un locale – restano giocoforza nel destino della Germania.
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