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Le università più giovani al mondo che attirano studenti (e danno lavoro). C'è anche il Sant'Anna

(Agf)
(Agf)

Per raggiungere il vertice delle «università più giovani al mondo» bisogna volare a Singapore, in un polo che conta 25mila studenti e 11 dipartimenti nelle classifiche mondiali. Ed è nato meno di 30 anni fa: la Nanyang Technological University, (ri)fondata nel 1991 dopo vari cambi di nome e cresciuta fino a raggiungere una dotazione di 2,3 miliardi di dollari. La Nanyang è il primo ateneo nella «Top 50 Under 50», una graduatoria redatta dal portale QS sulle università con meno di 50 anni e in crescita secondo i criteri adottati dai ranking internazionali: reputazione accademica, opinione dei datori di lavoro, citazioni ottenute dai membri dello staff universitario, proporzione di studenti stranieri e di membri accademici internazionali.

Le prime 10 posizioni sono dominate dall'Asia, con sei atenei spartiti tra Singapore (la stessa Nanyang), Hong Kong (The Hong Kong University of Science and Technology, City University of Hong Kong e The Hong Kong Polytechnic University, rispettivamente seconda, quarta, sesta) e Corea del Sud (Korea Advanced Institute of Science & Technology). Seguono Europa (con la finlandese Alto University in settima posizione, la francese CentraleSupélec in nona e l'Universidad Autónoma de Madrid in decima) e Oceania (l'australiana University of Technology di Sidney), mentre spunta un'italiana appena fuori dalla top 10: la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, il collegio d'eccellenza pisano nato come divisione della Normale per le discipline applicate nelle scienze e scienze sociali.

Il modello è l'iper-specializzazione (e gli sbocchi sul lavoro)
Oltre alle anagrafe, le università che rientrano nella top 50 di Qs si fanno notare per un comune denominatore: la specializzazione. Anche nel caso di atenei con dipartimenti in settori diversi, come la stessa Sant'Anna, il ranking premia risultati della ricerca e la cosiddetta employer reputation, la reputazione guadagnata tra aziende e datori di lavoro che si traduce in un buon tasso occupazionale per gli ex studenti.

La capolista Nanyang Technological University è riuscita ad incassare tra 2005 e 2016 l'equivalente di 4,1 miliardi di dollari in bandi di ricerca muovendosi tra campi come sanità, innovazione tecnologica e nuovi media. CentraleSupélec, ecole nata appena nel 2015, offre esclusivamente corsi di ambito ingegneristico ed è già riuscita ad entrare tra le prime 100 università in valore assoluto di Qs per la reputazione tra i datori di lavoro. La University of Technology di Sidney, retta su un'offerta di quasi 400 corsi undergraduate (triennali) e postgraduate (magistrali), raggiunge il quarto gradino su scala mondiale in alcune professioni sanitarie. I costi possono variare, da rette fisse sopra l'equivalente di 20mila euro alla cifra tonda: zero. Come succede anche nell'italiana Sant'Anna, gli allievi ammessi godono di esenzioni e borse di studio che possono azzerare le spese complessive.

Perata (Sant'Anna): l'università vada oltre il modello generalista. E il merito non è elitario
Quando si parla di università a costo zero, il confronto con le rette stellari dei college in Stati Uniti e Cina scatta quasi in automatico. È vero che anche negli States e Oltremanica si può accedere a scholarship (borse di studio) capaci di ridimensionare i costi, ma si parla comunque di tasse ben oltre i 40mila dollari negli Usa e di almeno 9mila sterline tra punte di diamante dell'accademia britannica. Le università «giovani» non sono gratis, ma l'abbinamento tra specializzazione e costi più contenuti potrebbe rappresentare un'alternativa in crescita a giganti come Harvard od Oxford. Una tesi sposata anche da Pierdomenico Perata, rettore della Scuola Sant'Anna: «Il sistema andrebbe adattato ai vari sistemi nazionali – spiega - Però sì, questo modello ha dimostrato di funzionare».

L’università «generalista» è difficilmente sostenibile
Secondo Perata, l'università potrebbe iniziare a uscire dalla dimensione «generalista» e virare su modelli di formazione più concentrati. Anche in vista del rapporto con i datori di lavoro, non a caso inquadrato da Qs tra i criteri di valutazione: «Il sistema dell'università che offre tutti corsi di laurea è ideale, ma non più sostenibile. Servirebbe un investimento mirato – spiega – Quanto alle imprese, un ateneo che mantiene i rapporti riesce a condividere progetti di ricerca e trasformarsi in un bacino di selezione di risorse per il tessuto economico».

Certo, prosegue Perata, «in realtà è un ripiego perché la verità è che bisognerebbe investire di più nel nostro sistema universitario – dice – Ma, visto il contesto, bisogna fare delle scelte». C'è chi potrebbe obiettare, però, che si parla di atenei “elitari” rispetto alla media. «Qui confondiamo il merito con l'elitarismo – fa notare Perata - Io preferisco un sistema che garantisce l'accesso ai capaci e meritevoli piuttosto che un sistema che garantisce gli studi solo a chi può permetterseli»

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