In un un mio recente viaggio nei Paesi arabi ho visitato alcune nuove università. Quel che mi ha colpito è la opulenza e grandiosità delle infrastrutture, una sorta di ibrido tra un hotel a 5 stelle ed un terminal aeroportuale.
Alcune di queste università sono anche di ottimo livello se giudichiamo dal numero di pubblicazioni con un numero elevato di citazioni. Ma grazie ad una analisi più attenta, due ricercatori della prestigiosa Max Planck Society hanno scoperto il meccanismo che consentiva alla King Abdulaziz University di fregiarsi di queste citazioni: le pubblicazioni erano di ricercatori americani ed europei che trascorrono un paio di settimane l’anno presso queste università ma, firmano tutti i propri articoli scientifici non solo con la propria affiliazione ma anche aggiungendo quella della università Saudita. Il tutto dietro il pagamento di somme importanti.
La ambizione delle università di tutto il modo di raggiungere i vertici delle classifiche internazionali è fortissima ed induce, a volte, a comportamenti discutibili. Da decenni la Cina cerca di migliorare il proprio posizionamento nei ranking universitari e le università offrono premi in denaro, anche 10 volte superiori al normale stipendio, ai ricercatori che riescono a pubblicare su riviste prestigiose. Cosa c’è di male a premiare chi produce articoli importanti su riviste prestigiose? I ricercatori di tutto il mondo sanno che pubblicare molto e bene è alla base della propria carriera, e quindi già esiste un notevole incentivo a produrre molti buoni articoli. Ma la reputazione è fondamentale: basta poco per rovinare una carriera, ad esempio pubblicando dati falsi o inventati. E le frodi scientifiche sono un problema cronico del mondo accademico cinese, al punto che il governo cinese sta attuando una strategia di tolleranza zero per contrastare il fenomeno. Evidentemente la politica di offrire premi in denaro è un incentivo eccessivo e rappresenta una tentazione alla frode a cui è, per alcuni, difficile resistere. Un esempio da non seguire.
La realtà è che non esistono scorciatoie alla eccellenza scientifica delle università. Le università di Oxford e Cambridge, considerate tra le migliori al mondo, sono nate nel 1096 e nel 1209 rispettivamente. L’università di Bologna è la più antica la mondo, essendo stata fondata nel 1088. Ma tutte le principali università europee hanno una storia plurisecolare ed è attraverso i secoli che l’eccellenza e la reputazione sono state costruite, senza fretta e senza scorciatoie.
Ma in quanto tempo è possibile costruire una università di successo? E quel è la ricetta per raggiungere l’eccellenza? Due società britanniche pubblicano annualmente un ranking riservato alle università con meno di 50 anni, il tempo che in media è necessario perché una università possa diventare adulta ed affermarsi. Entrambe le classifiche sono dominate dai Paesi asiatici: Singapore, Corea del Sud e Hong-Kong, ma ai primi posti troviamo anche una università italiana, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ho l’onore di dirigere dal 2013.
Come ha fatto la Scuola Sant’Anna a rientrare tra le prime posizioni in soli 30 anni (il Sant’Anna è stato fondato nel 1987)? Gli ingredienti sono essenzialmente tre: la qualità dei suoi allievi, la qualità dei suoi docenti e ricercatori, la qualità dei servizi e delle infrastrutture. Essere in grado di attrarre i migliori studenti è un elemento di fondamentale importanza per creare una università eccellente e non a caso a tutte le più prestigiose università al mondo si accede dopo una selezione molto severa. Al Sant’Anna, cosi come alla Normale di Pisa, si accede per merito. Gli allievi eccellenti rappresentano un incredibile stimolo per i professori, che devono elevare il proprio livello di insegnamento, con ragazzi e ragazze preparate e con idee brillanti per portare avanti la ricerca scientifica. E gli allievi ed allieve di oggi sono coloro che facendosi valere nel mondo del lavoro agiscono da ambasciatori della propria università: la reputazione di una università dipende fortemente dalla qualità dei suoi ex-allievi.
Il secondo punto riguarda il reclutamento di nuovi professori e ricercatori. Si tratta di un tema importante e complesso, dato che nel nostro Paese si accede a queste posizioni attraverso concorso pubblico e con posizioni a tempo indeterminato. Non è consentito sbagliare, errori nel reclutamento si ripercuotono per decenni sull’università che ha sbagliato. Il sistema dei concorsi è del tutto inadatto al mondo universitario e della ricerca e dovrebbe essere rivisto alla radice, come ha giustamente denunciato Dario Braga in un suo recente articolo su Il Sole 24 Ore e che ha originato il dibattito su queste pagine. Alla Scuola Sant’Anna abbiamo reclutato eccellenti professori attraverso percorsi di selezione rigorosi ed alcuni professori ordinari hanno poco più di trent’anni: occorre premiare con un carriera veloce chi si dimostra straordinariamente preparato ed eccellente. E, quando possibile, è importante ricorrere al reclutamento per chiamata diretta, evitando così i concorsi ed avendo certezza di assumere esattamente la persona giusta per l’incarico disponibile.
Occorre poi, a valle del reclutamento, attuare una valutazione annuale dei risultati ottenuti, con conseguenze sulla ripartizione dei finanziamenti interni per la ricerca: non per assegnare somme importanti, ma per ricordare a tutti che i professori, che per mestiere valutano gli allievi, non possono essere esenti da valutazione. Infine le infrastrutture e i servizi. L’università non è esente dalla burocrazia che affligge la pubblica amministrazione. Ma è comunque possibile attenuarne le conseguenze con una amministrazione efficiente, che lavori per minimizzare le conseguenze delle normative, non per esaltarle con una applicazione che è spesso errata per eccesso di rigore. La qualità delle infrastrutture, infine, deve seguire, non anticipare un reclutamento di qualità. Altrimenti si costruiscono cattedrali nel deserto, luoghi non pensati da chi li vivrà.
Non ho citato i finanziamenti pubblici. Questi, è chiaro, servono e sono insufficienti. La Scuola Sant’Anna riceve dallo Stato circa lo 0,4% di quanto (poco) lo Stato investe nelle sue Università. Potremmo chiederci quali risultati potrebbe essere raggiunti con un investimento maggiore: per tutto il sistema universitario ma anche e soprattutto per quelle realtà, e ce ne sono, che in Italia dimostrano di saper ben spendere i soldi pubblici.
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