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Politica al bivio fra imbonitori e voglia di smontarne le idee

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Politica al bivio fra imbonitori e voglia di smontarne le idee

Avevamo il “rosso” della sinistra, il “nero” della destra, il “bianco” del centro. Avevamo l’entusiasmo che ci faceva credere e sperare che le promesse fatte a noi elettori si concretizzassero davvero. Purtroppo non è così. La politica di sinistra ha tradito il popolo. La destra, appena è riuscita ad avere un poco di potere, se lo è gestito per la cricca. Il centro si è diviso entrando in coma. Litigano e si insultano. Siamo stati ingannati e restano inascoltati i bisogni dei milioni di “ultimi” . I politici della non politica hanno
ridotto i tre colori a una tinta sbiadita senza luce, ideali né storia. Troveremo la strada per ridare smalto al Paese?

Raffaele Pisani
Catania

L’auspicio è condiviso ma non credo (anzi, spero) che la riscossa possa giungere dai colori evocati dal lettore e responsabili - il rosso e il nero - di cantonate monumentali, eccidi vergognosi e rovine disastrose.

Anche nei regimi democratici, la forza di ideologie totalitarie ha condizionato fatalmente il dibattito pubblico, bloccato l’alternanza di governo, obnubilato intere generazioni votate al culto, o alla nostalgia, di Stalin, Mao, Hitler, Mussolini e tanti altri impresentabili. Sta lì l’origine dei nostri mali attuali: erano pochi gli elettori che sceglievano a ragion veduta, soppesando le proposte e valutando la credibilità dei leader. La gran parte votava o per adesione acritica alla propria ideologia, o per paura atavica di quella contrapposta, o semplicemente per tutelare i propri interessi: ed è per questo che il riformismo autentico, in Italia, ha fatto poca strada.

Una volta che la caduta delle ideologie ha proclamato il “liberi tutti”, gli elettori si sono trovati senza guide (ancorché spesso imbarazzanti) e i partiti senza strategie (ancorché spesso anacronistiche). Perciò la grande questione della politica contemporanea (non solo in Italia) è quella di individuare sedi, opportunità e modalità per ricostituire un dibattito pubblico non accecato dall’ideologia, non asservito agli interessi organizzati e non dominato dall’intolleranza.

Il tutto è complicato dalla tendenza attuale degli elettori ad affidarsi a persone non “migliori” di loro, in quanto capaci di offrire una “visione”, giusta o sbagliata che sia, ma “come” loro, ossia capaci solo di sintonizzarsi sui risentimenti, giusti o sbagliati che siano, degli elettori stessi. La politica, dunque, è a un bivio: deve scegliere se imitare gli imbonitori, offrendo loro la vittoria su un piatto d’argento, perché i votanti, poi, preferiscono gli originali; oppure scendere in campo contro di essi, smontarne le argomentazioni, sgonfiarne le fandonie, elaborare politiche non ammiccanti ma alternative al populismo.

Certo che se poi, per esempio, i liberal americani pensano di riconquistare la fiducia dei lavoratori disoccupati del Kentucky con le campagne contro le statue di Colombo, la strada per Trump è spianata per un altro mandato.

Insomma, tra essere una brutta copia del populismo e offrire una fuga nell’irrealtà, gli eredi della politica tradizionale devono mettere in campo idee, regole e leader. Non è detto che l’impresa sia disperata e che gli elettori scelgano sempre e soltanto l’offerta più urlata; del resto, basterebbe illustrare gli effetti prodotti dal populismo, dove (incautamente) sperimentato: vedi la Gran Bretagna versione Brexit, gli Usa versione Trump e, si parva licet, qualche comune italiano versione grillin-casaleggiana.

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