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Sano pluralismo con la libertà religiosa

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TESTIMONIANZE DAI CONFINI

Sano pluralismo con la libertà religiosa

(Agf)
(Agf)

Tra i tanti effetti del tragico moltiplicarsi di episodi di terrorismo perpetrati in nome della religione, vi è certamente quello di aver risvegliato l’attenzione sul tema della libertà religiosa. E, anche su questo tema, accanto a reazioni scomposte e semplicistiche si sono registrati commenti più o meno pertinenti. Tali, per esempio, non mi sono parsi gli interventi di commentatori impegnati a riprendere (sviluppare, orientare) la riflessione sul tema della libertà religiosa in chiave esclusivamente negativa. Piuttosto che le esigenze di tutela di questo fondamentale diritto della persona, sono stati messi in rilievo i limiti che (anche) la libertà religiosa, come del resto la libertà di espressione e la libertà di riunione e associazione incontrano, non potendo essere intese come libertà assolute. In tal senso, taluni sottolineano che tali libertà devono avere dei limiti; necessari per assicurare agli altri la garanzia di quegli stessi diritti e libertà. Nello specifico si fa riferimento alla “sicurezza nazionale” oltre che, più in generale, alla “tutela dei diritti altrui”.

Le pur comprensibili preoccupazioni che sollecitano a difendere con la necessaria determinazione i fondamenti delle democrazie liberali dai rischi derivanti dall’abuso del diritto, non possono rappresentare comunque il pretesto o diventare l’occasione per imporre in nome della sicurezza restrizioni ingiustificate alla libertà religiosa. Né devono far dimenticare che, come segnalato nel Rapporto 2017 della Commissione Usa per la libertà religiosa internazionale, a livello globale la situazione relativa a questo diritto fondamentale mostra segnali di serio peggioramento, sia per la gravità sia per l’ampiezza delle violazioni che subisce. La comunicazione, quella seria e non eccessivamente distratta da beghe di piccolo cabotaggio, continua a dar conto della moltiplicazione, in molti Paesi, di episodi brutali di aggressione. Soprattutto nei confronti dei cristiani. Con massacri di innocenti a causa della loro fede religiosa e con la massiccia distruzione di luoghi di culto. Ciò porta con sé due conseguenze. Da una parte, in questo modo si nega di fatto a intere popolazioni la possibilità di esercizio di una dimensione essenziale e irrinunciabile del proprio essere. Dall’altra, si determina nell’opinione pubblica il rischio di non vedere o di sottovalutare le violazioni meno eclatanti, spesso rivelate da episodi di intolleranza e discriminazione. Di fronte al rischio, sempre più evidente, di sottovalutazione, di rimozione, di negazione o riduzione, diretta o indiretta, occorre rinnovare l’impegno perché sia pienamente garantito a tutti il diritto di professare liberamente la propria fede in qualsiasi forma, individuale o associata, di farla conoscere e di praticare in privato o in pubblico il culto, secondo la felice sintesi offerta dall’articolo 19 della nostra Costituzione. Penso contribuisca anche questo a far avanzare quel processo di integrazione dei popoli di cui ha tanto bisogno la nostra società.

La sintesi offerta dalla nostra Costituzione la si ritrova nell’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II, secondo cui occorre che «in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata” (Dignitatis humanae, n. 2; cf. Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 2016 e 2018).

La salvaguardia e la promozione della libertà di religione rappresenta la chiave di volta per la difesa dei diritti umani e una priorità per salvaguardare la dignità di ogni persona, credente e non credente. La garanzia della libertà religiosa non deve essere rivendicata solo di fronte ai casi di aperta persecuzione, ma anche riguardo ai rischi forse meno evidenti e tuttavia ugualmente insidiosi, quale ad esempio la pretesa di ridurre e ricacciare nel privato l’esperienza religiosa. C’è da dire che, in questa prospettiva, le garanzie offerte a livello giuridico, che pure sono necessarie e devono essere sviluppate, non appaiono tuttavia di per sé sufficienti. Occorre la consapevolezza che la libertà religiosa, come ha affermato Papa Francesco nel Discorso all’incontro con i leader di altre religioni e altre denominazioni cristiane (Tirana, 21 settembre 2014), non è solo un diritto ma «uno spazio comune..., un ambiente di rispetto e collaborazione che va costruito con la partecipazione di tutti, anche di coloro che non hanno alcuna convinzione religiosa». Sono due gli atteggiamenti indicati in particolare dal Papa ai fini della promozione di questa libertà fondamentale. Il primo è quello di vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, «non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle». Un secondo atteggiamento è l’impegno in favore del bene comune. Ogni volta che l’adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all’intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo della libertà religiosa.

Una simile forma di impegno e di responsabilità favorisce l’affermazione di un sano pluralismo, che «non implica una privatizzazione delle religioni, con la pretesa di ridurle al silenzio e all’oscurità della coscienza di ciascuno, o alla marginalità del recinto chiuso delle chiese, delle sinagoghe o delle moschee. Si tratterebbe, in definitiva, di una nuova forma di discriminazione e di autoritarismo» (Evangelii Gaudium, n. 255).

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