Il dibattito sulla Brexit è una fonte infinita di piacere per chiunque sia dotato di humor nero. La mia battuta preferita è stata pronunciata da Michael Gove, ora segretario per l’ambiente della Gran Bretagna. Prima del referendum sulla Brexit nel giugno 2016, Gove, allora segretario alla giustizia nel governo Cameron, ha respinto l’opinione, per nulla unanime, degli economisti e di altri secondo la quale la decisione di lasciare la Ue avrebbe profondamente danneggiato l’economia britannica. «Le persone in questo Paese ne hanno avuto abbastanza di esperti», ha spiegato Gove, riferendosi a «esperti di organizzazioni con acronimi, che dicono di sapere cosa è meglio e poi sbagliano».
La prima prova post-referendum ha suggerito - con sorpresa di molti - o almeno di molti esperti - che Gove aveva ragione e che loro sbagliavano. Non c’è stata nessuna recessione immediata nel Regno Unito dopo il voto; anzi, non c’è stato nemmeno un rallentamento della crescita.
Per spiegare ciò, gli osservatori hanno sottolineato la risposta pronta della Banca d’Inghilterra (BoE), che ha tagliato i tassi di interesse per prevenire ogni attenuazione della domanda. Hanno messo in luce il deprezzamento della sterlina post-referendum che ha promesso di rendere le esportazioni britanniche più competitive e di compensare eventuali problemi con la transizione verso un nuovo regime commerciale. Hanno suggerito che un Regno Unito, libero dalle regole della Ue, potrebbe offrire un ambiente più favorevole alle imprese e ridurre le imposte sulle società, diventando così un magnete per gli investimenti stranieri.
Più provocatoriamente, hanno messo in discussione le previsioni secono le quali l’incertezza sulla Brexit avrebbe un impatto negativo sulle prestazioni economiche. Gli economisti non possono misurare direttamente l’incertezza, ci hanno ricordato, mentre le variabili sostitutive, come la frequenza con cui il termine appare nella stampa finanziaria, fanno un cattivo lavoro nel cogliere i loro effetti.
Noi economisti abbiamo avuto poco successo nel prevedere in modo affidabile quando e perché l’incertezza raggiunge il culmine. E non c’è molto accordo sulla gravità del suo impatto. Forse faremmo meglio a mettere meno peso sugli effetti dell’incertezza quando facciamo previsioni. Ma questa visione sembra meno attraente con il passaggio di un paio di trimestri. La fiducia dei britannici è in calo. Le vendite di auto nuove sono diminuite per quattro mesi consecutivi. La BoE prevede un terribile calo del 20% degli investimenti delle imprese nei prossimi anni, mentre i campioni della Brexit hanno previsto l’opposto.
Il calo della fiducia, qualcuno potrebbe obiettare, riflette un’elezione generale inconcludente e un Parlamento in sospeso, non la Brexit. O il peggioramento delle condizioni può essere attribuito alla negoziazione del governo poco incisiva e all’impressione che Londra sia impreparata a discutere con la Ue. Ma il voto inconcludente riflette la schizofrenia del partito conservatore e del partito laburista sul tema Brexit.
Alcuni sostengono che se il governo adottasse una strategia di negoziato più coerente, i danni sarebbero inferiori. Ma non esiste una strategia di negoziazione coerente.
L’unica sorpresa, allora, è che ci è voluto tanto tempo prima che le conseguenze si materializzassero. Ci è voluto più tempo del previsto prima che le implicazioni venissero assimilate. Ci è voluto tempo per rendersi conto che la rottura con la Ue non sarebbe stata liscia e che i negoziati non sarebbero stati conclusi in due anni. Potrebbe non esserci accordo di libero scambio, o “diritto di passaporto” per le banche britanniche che vogliono fare affari nella Ue e nemmeno un accordo sui diritti di sbarco per gli aerei britannici sul continente europeo.
I nodi vengono al pettine con una vendetta. I consumatori, con la sterlina deprezzata, hanno aumentato la spesa nel 2016, perché hanno capito che i prezzi all’importazione aumenteranno. Dopo aver sostenuto un ulteriore indebitamento, non sono ora in grado di continuare a spendere a quel ritmo. Il deprezzamento della sterlina fa presagire un aumento dell’inflazione, così la BoE dovrà iniziare ad alzare i tassi d’interesse prima possibile. Le conseguenze per la crescita non saranno positive. La Banca non sarà più l’amico dei sostenitori della Brexit.
Quello che il grande economista del Mit Rudi Dornbusch - il più esperto degli esperti - ha detto sulla crisi del peso messicano negli anni 90 si applica anche ai danni della Brexit. Una crisi, osserva Dornbusch, «prima che si verifichi, richiede molto più tempo di quanto si pensi, e poi accade molto più velocemente di quanto avresti pensato».
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