Piove. La piattaforma dice che c'è un pasto da prendere al ristorante e da portare al cliente. Il ragazzo con la bicicletta, può decidere se andare o no.
Sa che se lavora, questa sera, non avrà tempi morti e guadagnerà bene, anche perché quando piove i clienti danno più mance. E dunque che fa? Affronta il freddo o resta a casa? Decide. Ma come decide? Chi è quel lavoratore? È un imprenditore di se stesso? O è un dipendente non riconosciuto? È una sorta di ingranaggio di una macchina governata da un algoritmo? È un tranquillo studente che arrotonda la mancetta con 5mila euro all'anno raccolti dalla piattaforma? Oppure è una persona disposta a sacrificarsi per portare a casa 2mila euro al mese? E che cos'è in realtà quello schermo sul quale legge i messaggi della piattaforma? È uno strumento chiaro e trasparente oppure un meccanismo che segue una sua logica sconosciuta? E soprattutto che cosa significa essere da una parte o dall'altra di quello schermo? In effetti, la piattaforma è una macchina. Qualcuno la usa e qualcuno la costruisce. Essere da una parte o dall'altra dello schermo divide due mondi del lavoro: sono destini che si allontanano sempre di più, oppure sono soltanto diverse dimensioni occupazionali le cui porte si aprono a tutti coloro che hanno le capacità per varcarle? Anche le risposte a queste domande aiutano a capire come sarà il lavoro del futuro. Siamo su un crinale delicato. Non sempre tecnico. Spesso ideologico. Ma che richiede una decodifica. L'economia digitale implica una cultura del lavoro che si organizza su piattaforme abilitanti e richiede lavoratori capaci di interpretare in autonomia le opportunità per raggiungere gli obiettivi aziendali. E sembra chiedere questa mentalità un po' a tutti i livelli: ai tecnici, ai manager, persino ai ragazzi che fanno la logistica in bicicletta. Ma a seconda di come si scrivono e si vivono gli algoritmi e i sistemi incentivanti, il mondo del lavoro emergente può apparire come una splendida fioritura di possibilità oppure come un incubo schiavista e una prima linea del nuovo conflitto sociale. La discriminante è nel riconoscimento del valore del giudizio critico dei lavoratori. La polarizzazione temuta dall'Ocse è tutta qui: tra aziende e lavoratori che puntano sulla creatività e l'autonomia dei talenti che lavorano in squadra, da una parte, e, dall'altra, le aziende o i lavoratori che preferiscono difendere le vecchie gerarchie.Nello studio condotto da Domenico De Masi, “Lavoro 2025”, la creatività discrimina tra chi ce la fa e chi non ha mercato. Per Martin Ford autore di “Il futuro senza lavoro“ (Il Saggiatore 2017) l'occupazione destinata a perdere valore o a essere sostituita dalle macchine è quella che è definita da mansioni “prevedibili”. «La formazione permanente è fondamentale. Non tanto per addestrare alle conoscenze specialistiche ma per sviluppare la capacità di affrontare il cambiamento. Per raccontare il lavoro come responsabilità, creatività, non passivo rispetto del processo produttivo» osserva Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. «Senza investimenti nell'innovazione e con la conseguente arretratezza tecnologica arriva la svalutazione del lavoro. Si rischia la polarizzazione tra chi progetta e chi esegue ed è costretto a competere, a livello di costi, con le macchine». È interessante notare che questo non è un crinale che deve preoccupare solo i lavoratori. Secondo Joi Ito, direttore del Mit MediaLab, c'è solo un parametro che distingue le organizzazioni di successo dalle altre: la qualità delle persone che ci lavorano. E le aziende che vanno bene lo sanno. Sicché il loro problema con le risorse umane non è risparmiare soldi, ma attrarre talenti. «C'è un circolo virtuoso: le aziende che vanno bene attirano le persone migliori e questo fa andar bene le aziende». Luca Colombo, amministratore delegato di Facebook Italia, testimonia l'importanza di questa strategia. «Oggi non si paga il lavoratore per il tempo che dedica all'azienda, ma per la sua capacità di delineare e realizzare progetti: per il suo contributo di idee, di energia, di soluzioni tese al raggiungimento degli obiettivi» racconta.Colombo parla della sua esperienza a Facebook, ma non nasconde che vale anche per il suo precedente periodo a Microsoft. «L'azienda avanzata si rende conto che un lavoratore che opera nelle condizioni migliori genera più valore: quindi l'azienda gli offre il ristorante, l'assicurazione sanitaria, il programma pensionistico. Non solo i responsabili: tutti sono considerati per la loro capacità di raggiungere gli obiettivi in autonomia». Colombo ha l'obiettivo di sviluppare il business di Facebook in Italia, nessuno gli dice come farlo: e non ha dovuto chiedere il permesso per creare, ad esempio, il Fed (Forum economia digitale) un evento pensato per l'educazione tecnologica delle piccole imprese realizzato con Confindustria (azionista del Sole 24 Ore). «L'organizzazione non funziona per gerarchie, ma per figure crossfunzionali che si riuniscono attorno a un progetto». Attirare persone così non è un'attività secondaria: se le aziende non ci riescono, declinano.Ma tutto questo funziona da una parte dello schermo. È possibile ragionare in questo modo anche quando si pensa alle persone che fanno i lavoretti sulle piattaforme della “Gig economy”? La piattaforma è una macchina, l'organizzazione e gli algoritmi che la fanno funzionare sono scritti da umani: il lavoro di questi ultimi è creativo, ma il lavoro di chi cerca un piccolo reddito con quelle piattaforme che cos'è? La risposta è complessa. Queste piattaforme - Uber, Foodora, MTurk, Petme, Le Cicogne, Deliveroo e così via - non sono tutte uguali. E la loro storia è destinata a differenziarsi anche per l'atteggiamento che coltivano nei confronti di chi offre i lavoretti.La società di consulenza McKinsey sceglie di considerarli parte del mondo degli “indipendenti”: nello studio intitolato “Independent work: choice, necessity and the gig economy” si vede una larga e crescente diffusione di un genere di lavoro caratterizzato da un elevato grado di autonomia, che viene pagato per ogni risultato e per il quale la relazione tra cliente e fornitore è di breve durata. Questo lavoro “indipendente” riguarda categorie molto diverse: 1. chi offre servizi, cioè fa ricerche online per MTurk, porta a casa dei clienti la cena con Deliveroo o Foodora, offre corse in auto via Uber, fa il babysitter su Le Cicogne o il petsitter su Petme, e così via; 2. chi vende merci su piattaforme come eBay; 3. chi affitta beni patrimoniali per esempio su Airbnb. Con questa larga definizione, si registra un 20-30% di persone impegnate in questo genere di lavoro negli Stati Uniti e in Europa. Il punto, dice il report di McKinsey, è che le piattaforme digitali stanno trasformando il lavoro indipendente perché rendono molto più efficiente l'incontro di domanda e offerta. Attualmente, il 15% dei lavoratori indipendenti usa quelle piattaforme (3-4,5% degli occupati), ma si assiste a una crescita veloce di questo numero. In realtà, in Italia molti di questi “indipendenti” vendono merci e affittano camere, mentre non sono poi così tanti - per ora - coloro che offrono servizi organizzati da piattaforme che mettono in relazione la domanda e l'offerta in base ad algoritmi da loro definiti. Qualche migliaio. Ma potrebbero crescere significativamente.«Noi stiamo crescendo» racconta Matteo Sarzana, amministratore delegato di Deliveroo Italia. «Abbiamo 1.300 persone per portare il pasto dal ristorante al cliente. Di queste, 22 si sono aggiunte nelle ultime due settimane. Sono mediamente venticinquenni che lavorano circa 12 ore alla settimana». Inoltre, aggiungono a Deliveroo, secondo una recente survey anonima, il 93% dei rider dichiara di essere molto soddisfatto. «Ma il lavoro del futuro è più di questo: dobbiamo riuscire a coniugare la flessibiità e la sicurezza. Sarebbe importante poter offrire un'assicurazione, un sostegno in caso di malattia, persino le stock option a chi soddisfa certi requisiti» dice Sarzana: «A Deliveroo ci stiamo pensando». La visione però si scontra con regole che tendono a inquadrare il lavoro soltanto nell'alternativa tra dipendenti e indipendenti. «Dobbiamo fare evolvere queste regole. Il lavoratore dovrebbe poter trasferire le sue valutazioni tra le varie piattaforme. Non deve avere penali per quanto, quando e con chi sceglie di lavorare». Non tutte le piattaforme funzionano nello stesso modo, fa notare Camusso: «Non occorrono nuove leggi per garantire i lavoratori della Gig economy. Ma di certo occorre una contrattazione». Camusso riflette molto, e criticamente, su questi sviluppi: al contrario dei gestori delle piattaforme pensa che chi offre lavoro su quelle piattaforme appartenga alla categoria dei dipendenti. «L'innovazione qui è la piattaforma, non il contenuto del lavoro. E per capire come si sviluppa il rapporto di lavoro occorre studiare l'algoritmo della piattaforma, che non è neutro: non siamo di fronte a un semplice sistema che mette in relazione la domanda e l'offerta. L'algoritmo governa il lavoro. E lo fa in modo diverso, su Uber o sulle Cicogne. Occorre contrattare l'algoritmo».Già. Le Cicogne, la piattaforma che connette i genitori e le babysitter. «Abbiamo trovato una soluzione» racconta la fondatrice Monica Archibugi. «Le babysitter sono inquadrate nel lavoro domestico. Un genitore che trova la babysitter con il nostro portale trova anche il servizio per l'iscrizione all'Inps e per il pagamento dei contributi. I nostri partner di Digitfam fanno queste pratiche gratis per i genitori, siamo noi a pagare. Sul nostro portale i genitori registrano il check-in e il check-out della babysitter e Digitfam prende quei dati per fare la busta paga, versa i contributi con la carta di credito del genitore e a fine anno manda il Cud». Sapendo che i contributi sono deducibili fino a un massimo di 1.500 euro e che la media non supera la metà di questo ammontare in un anno, il servizio si ripaga da solo. E il portale ottiene una fedeltà dei clienti che prima non poteva sperare di avere. In questo caso la regolarizzazione va a vantaggio di tutte le parti in causa. Le Cicogne hanno trovato la soluzione ideale. Deliveroo, che non può accedere alle regole per il lavoro domestico cerca la sua soluzione: e il fatto che la cerchi è una dimostrazione di quanto comprenda che esiste una relazione tra la qualità del servizio che offre e la qualità della vita che garantisce ai lavoratori. Lo schermo non divide tutti. E la polarizzazione non è un destino ineluttabile..
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