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Il debito, il mercato e la dottrina tedesca

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Il debito, il mercato e la dottrina tedesca

La politica italiana dovrebbe seguire con attenzione il confronto sul futuro dell’euro-area lanciato pubblicamente dal discorso annuale del presidente Juncker. Gran parte della riflessione ruota infatti attorno alla riduzione di rischi che i partner vedono particolarmente pronunciati nel nostro Paese e che riguardano la stabilità del debito pubblico e del sistema bancario. Il confronto politico interno sulla legge di bilancio dovrebbe quindi svilupparsi in modo coerente con una proposta italiana di governance dell’euro-area.

L’inquadramento offerto mercoledì da Juncker è convincente e fa riferimento a un paper di riflessione pubblicato in primavera che invocava il completamento dell’unione bancaria e l’introduzione di un titolo obbligazionario sicuro comune a tutti i Paesi. Juncker ha aggiunto mercoledì un fattore istituzionale potente con il richiamo dei Paesi estranei alla moneta comune a entrarvi, facendo così coincidere le istituzioni dell’euro con quelle dell’Ue e viceversa.

Il negoziato sul futuro dell’euro-area avanza da tempo sotto traccia. Un documento riservato del ministero delle Finanze di Berlino ha già fissato la frontiera negoziale molto vicino alle rive della Spree. Il documento ricalca infatti un paper, che proprio questo giornale rivelò più di un anno fa, incentrato sul ritorno dei mercati finanziari come attore di disciplina nella gestione delle finanze pubbliche e delle riforme dei Paesi. Ritenendo che i negoziati politici finiscano molto spesso in deroghe e violazioni di regole, Berlino preferisce restituire ai mercati quel ruolo sanzionatorio che avevano prima degli interventi della Bce a salvaguardia dell’integrità dell’euro. Per riconsegnare potere ai mercati, Schäuble vuole ristabilire un principio di rischiosità dei debiti pubblici nazionali. Una volta che un Paese richiede assistenza finanziaria, incorre nella ristrutturazione automatica del debito. La sola esistenza di questo meccanismo creerebbe un divario di rischio tra i bond dei Paesi meno sicuri e quello dei Paesi virtuosi. Lo spread che ne risulterebbe sarebbe, secondo Schäuble, uno stimolo alla correzione della politica fiscale più efficace dei compromessi politici di Bruxelles.

Tuttavia, una volta ristabilita la vulnerabilità del debito pubblico, sarebbe necessario isolare le banche dal rischio dei titoli pubblici. Per farlo, Berlino intende imporre che i portafogli bancari non contengano troppi titoli pubblici del Paese di origine della banca. Limiti di concentrazione costringerebbero tutte le banche a diversificare i portafogli tra i titoli sovrani dei vari Paesi ai quali tuttavia verrebbe assegnato uno specifico coefficiente di rischio. Una proposta di questo genere è arenata a Basilea da anni ed è difficile applicarla alla sola zona-euro senza causare uno svantaggio per i governi europei.

Il principio di rischiosità

Tuttavia se non si diversificano i portafogli delle banche europee, sarà difficile completare l’unione bancaria adottando la necessaria assicurazione comune dei depositi. Il motivo è che se la crisi di una banca fosse causata dal default del debito pubblico del suo Paese, l’assicurazione europea dei depositi distribuirebbe automaticamente i costi del default sui depositanti degli altri Paesi. Si verificherebbe così una mutualizzazione surrettizia dei debiti pubblici, una condivisione di rischi e oneri fiscali in assenza di una decisione democratica e di una sede di condivisione delle responsabilità politiche.

A quasi dieci anni dalla crisi, nella gestione dell’euro-area siamo quindi tornati ancora all’alternativa irrisolta tra soluzioni di mercato e soluzioni politiche. Queste ultime erano tornate in auge dopo le distorsioni e le irragionevolezze di alcune soluzioni pure di mercato. I contagi, i cattivi equilibri e i meccanismi non lineari di diffusione degli shock, hanno aggravato la crisi dopo le decisioni di Deauville in cui Merkel e Sarkozy imposero le prime clausole di ristrutturazione sui debiti pubblici, dando ai mercati un incentivo a sanzionare i Paesi fragili.

Tuttavia, anche l’iniziativa politica si è arenata, nascosta dietro agli aiuti della Banca centrale europea, ristretta nei confini retorici della sovranità nazionale, e impantanata nell’alternativa ambigua tra riduzione o mutualizzazione dei rischi. Così, ci siamo perfino assuefatti alla persistenza di spread molto rilevanti tra Paesi che condividono la stessa moneta. Inoltre gli squilibri nei movimenti di capitale tra Paesi euro si ampliano anche se gli squilibri tra le bilance commerciali dei Paesi più competitivi e meno competitivi si riducono e sono ormai in pareggio. Con soluzioni sia di mercato, sia politiche, che hanno dato cattiva prova di sé, la credibilità dell’euro e della sua integrità sembrano ancora in questione.

La divergenza continua

In questa terra incerta, la divergenza tra i Paesi non diminuirà, ma rischia anzi di ampliarsi. Provo a proporre semplici esempi pratici: ben un quarto degli utili delle compagnie aeree in tutto il mondo proviene dalle carte di credito che le compagnie emettono per conto dei loro clienti più fedeli. Se Lufthansa può finanziare a tassi negativi gli acquisti dei propri clienti aumenterà fatturato e utili a danno delle compagnie aeree che operano da Paesi vicini con tassi d’interesse più alti. Lo stesso avverrà per le compagnie automobilistiche che finanziano sempre più spesso gli acquirenti di vetture. O per qualsiasi produttore che finanzi le reti di franchising a cui fornisce i propri beni. Quasi ogni grande attività produttiva ormai si basa su un’ampia rete finanziaria che sostiene la propria clientela. Non è un caso se le imprese maggiori finiscono per spostare le proprie sedi in Francia, Germania, Austria o Olanda, Paesi che hanno alto rating, per sfruttare migliori condizioni del credito, accentuando così la desertificazione economica delle zone più fragili dell’euro-area.

Puntare sulla diversificazione delle condizioni finanziarie dei diversi Paesi, giustificandolo con la necessità di imporre ai governi la disciplina del mercato, significa disintegrare l’Europa rendendo divergenti le economie dei diversi Paesi, radicalizzando le difficoltà dei più deboli e creando le basi per i contrasti politici irriducibili.

Se è rimasto qualcosa del suo antico europeismo, Schäuble dovrebbe rifletterci e riavvicinarsi alle proposte di Bruxelles. Proponendo di unificare la presidenza dell’Eurogruppo con quella del commissario per gli Affari economici, Juncker fa un po’ di chiarezza sui poteri esecutivi dell’Unione europea, assoggettandoli al controllo del Parlamento e sottraendoli all’ambito intergovernativo.

Un bilancio per l’Eurozona

Un bilancio europeo per il sostegno dell’economia, su cui concorda anche Berlino, e un titolo pubblico a fronte di tale bilancio il cui uso si estenda progressivamente man mano che si riduce il debito aggregato dell’euro-area, sarebbero segnali in grado di invertire la sfiducia sull’integrità dell’euro-area.

A queste condizioni, spetta un compito notevole all’Italia, sede dei maggiori rischi dell’euro-area. Roma deve rafforzare – anziché indebolirle, come chiedono tutti i partiti – le regole fiscali che presiedono alle politiche di bilancio, seppure semplificandole molto, e adottare regole di vigilanza europea ancor più rigorose sulle banche. Per gli italiani, per una volta, il premio europeo sarebbe superiore al sacrificio nazionale.

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