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Ema, una scelta «troppo» politica

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milano e la gara

Ema, una scelta «troppo» politica

La presentazione della candidatura a luglio 2017 (Ansa)
La presentazione della candidatura a luglio 2017 (Ansa)

I rappresentanti delle istituzioni fanno bene a dipingerlo come un successo. Ma non è andata proprio così.

Intendiamoci: tutti i punti di forza della candidatura di Milano sono rimasti intatti. Ma non c’è stata alcuna svolta. Non c’è stata alcuna vera novità.

Piuttosto, a causa del lavoro della Commissione, ci siamo ritrovati nella famosa notte hegeliana, in cui tutte le vacche sono nere. Vediamo perché.

Nel documento del Consiglio europeo del 22 giugno, in cui era stata fissata la procedura per la scelta della sede, veniva prescritto che la Commissione avrebbe dovuto: (i) esaminare le offerte; (ii) fornirne un assessment sulla base dei criteri oggettivi posti a base della gara; (iii) analizzare in quale misura ciascuna offerta soddisfa tali criteri (punto 5 del predetto documento).

Nulla di tutto questo si ritrova nei tre documenti pubblicati dalla Commissione.

Questi consistono, piuttosto, in un mero riepilogo del contenuto di ciascuna candidatura, tutte presentate a fine luglio, e delle specifiche proposte fatte dalle varie sedi a fronte dei criteri e dei requisiti tecnici richiesti. L’unico commento della Commissione su ciascuna delle proposte avanzate, inserito in uno solo dei tre documenti pubblicati, in una colonna illusoriamente chiamata “Commission Assessment”, si limita a registrare eventuali lacune delle candidature su specifici punti. Ad esempio: si rileva come la candidatura di Vienna non specifici i sistemi Wi-Fi disponibili negli edifici destinati all’Ema, cosi come non sarebbe chiaro se ci siano sale riunioni di back up ad Amsterdam. E così via. Tutte cose che erano già per tabulas nei documenti ufficiali di gara.

Una sinossi, insomma, e nulla più.

Che cosa è successo? Perché la Commissione ha deluso le aspettative e non si è attenuta allo specifico compito affidato? Perché non ha fatto alcun autentico assessment?

La scelta, duole dirlo, è stata di natura nettamente politica, e in qualche modo al ribasso. Si è voluto evitare di creare alcun tipo di differenziazione obiettiva tra le varie candidature per consentire anche a quelle palesemente incapaci di soddisfare i criteri posti dalla stessa Commissione di rimanere in corsa. Non si trattava certo di fare graduatorie, peraltro impossibili in assenza del peso specifico attribuito a ciascun criterio oggettivo. Piuttosto, di rilevare oggettivamente se alcuni candidati non siano in grado di soddisfare alcuni criteri o se altri li soddisfino in misura maggiore. Questo vuol dire analizzare in quale misura i criteri sono soddisfatti. Per dire: Bratislava ha un piccolo aeroporto connesso con sole 13 capitali europee; Milano ha tre aeroporti internazionali. Era tanto difficile dirlo, ancorché asetticamente?

La verità è che non evidenziando le differenze, tutto appare più o meno eguale: non viene svolta neppure una minimale esegesi comparatistica, nel timore di scontentare qualche candidato debole. La misura di soddisfazione dei criteri, in assenza di una pur asettica analisi della Commissione, viene rimessa alla rilevazione soggettiva individuale, e quindi per definizione opinabile. È, insomma, una sorta di tradimento della missione stessa che i criteri oggettivi avrebbero dovuto assicurare.

Cosi, tutti i candidati possono a buon titolo reclamare di aver passato l’esame tecnico, o comunque di non essere complessivamente in deficit rispetto agli altri. I criteri oggettivi perdono, da ora, di ogni realistico valore non essendoci più alcun organo o passaggio istituzionale in cui verranno fatti espressamente oggetto di assessment. E così, si sprofonda, come detto, nella notte hegeliana dove tutto si può abilmente confondere e, a farla da padroni, saranno solo i politici più scaltri e operosi, quelli che da adesso avranno in mano i destini delle scelte europee.

Per evitare che ora le decisioni rimangano annebbiate nei densi fumi delle cancellerie europee, c’è una sola cosa da fare: occorre far ripartire il dibattito e il pubblico confronto dal documento uscito dalla stessa Ema la scorsa settimana.

Si tratta dei risultati di una consultazione interna all’Ema sul gradimento dei funzionari al trasferimento in ciascuna delle candidate di cui la stampa ha già parlato domenica scorsa, senza però sottolinearne a sufficienza l’importanza.

Come noto, i risultati evidenziano che solo cinque candidate assicurerebbero quel tasso di permanenza in funzione dei dipendenti (65%) considerato dall’Ema stessa quale soglia minima per la business continuity: in ordine di decrescente apprezzamento Amsterdam, Barcellona, Vienna, Milano e Copenhagen.

È bene intendersi: qui non si tratta semplicemente di dare ascolto e appagare le esigenze, più o meno ragionevoli, dei dipendenti. Si tratta piuttosto di prendere atto che tali dipendenti sono professionalità altamente specializzate che in un batter d’occhio possono ricollocarsi presso le comunità scientifiche o le realtà industriali di qualunque Paese. Si tratta di capire che, se per effetto di dimissioni cospicue (già di fatto annunciate col voto espresso nella consultazione interna) l’Ema si trovasse a non riuscire a operare regolarmente, a subirne le conseguenze sarebbero tutti i cittadini europei e il supremo bene della salute pubblica al cui presidio è posta l’Ema. La consultazione non è stata un esercizio più o meno ludico. L’Ema ha spiegato in maniera molto dettagliata e rigorosa perché e in che misura l’abbandono di funzionari di differenti qualifiche e specializzazioni inciderà negativamente sull’operatività dell’Agenzia. Ad esempio, non a tutti è chiaro quali possano essere gli effetti perniciosi per la salute pubblica se una parte cospicua dei funzionari addetti al monitoraggio della sicurezza dei farmaci venisse a mancare.

I risultati della consultazione, quindi, sono di fondamentale importanza a maggior ragione dopo quella che, a mio avviso, è stata la sostanziale diluizione dei criteri oggettivi della Commissione. Tali risultati vanno branditi a mo’ di bandiera, da oggi e fino alla fine della gara, come il punto di partenza imprescindibile di ogni discussione o trattativa. E quindi, di tutte le altre candidature, francamente, non è più neanche opportuno parlarne.

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