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Tessuto democratico più coeso con accordo fra europeisti e populisti

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Tessuto democratico più coeso con accordo fra europeisti e populisti

Molte persone di sinistra si lamentano del fatto che le forze politiche progressiste non riescono a unificarsi mentre quelle di destra ci riescono; la convinzione di queste persone è che la sinistra dovrebbe fare di tutto per unificarsi, soprattutto quando sono in vista scadenze elettorali, dato che la destra quando ci sono le elezioni riesce a superare le divisioni interne. Questa lamentela mi pare fondata fino a un certo punto perché l’unità è un valore da perseguire, ma non a scapito della coerenza rispetto ai propri principi. Credo ci siano principi inderogabili, come il rifiuto dell’autoritarismo, rispetto ai quali una forza politica non deve soprassedere se non vuole mettere in discussione le ragioni di fondo della propria esistenza. È fondata la convinzione delle forze della sinistra che rifiutano di fare un’alleanza con il Pd renziano motivando il rifiuto con la pretesa del segretario del Pd di poter decidere senza condizionamenti su tutte (o quasi tutte) le questioni di fondo, come la legge elettorale e la composizione delle liste. Meno fondato, nel senso che è opinabile, mi sembra il rifiuto di allearsi con il Pd sulla base della convinzione che Renzi abbia imposto una politica di destra al suo partito.

Franco Pelella
Pagani (SA)

Probabilmente per ragioni anagrafiche, il lettore non ha memoria di cosa succedesse nei partiti della prima repubblica: le liste erano ferreamente controllate dagli apparati (le segreterie) dei partiti e per le minoranze c’erano solo posti di seconda fila, per garantire alle leadership il controllo dei gruppi parlamentari. E, nonostante l’esistenza (peraltro deleteria e per questo cancellata a furor di popolo da un referendum popolare) delle preferenze, per gli outsider superare i capilista era un’impresa titanica: non solo nei partiti a forte controllo centralistico, ma anche in quelli di opinione (perfino nel Pli o nel Pri diventava parlamentare chi veniva designato da via Frattina o da piazza dei Caprettari, salvo sparute eccezioni).

Per venire all’oggi, e cambiare sistema, il leader dei laburisti britannici Jeremy Corbyn sta facendo di tutto, senza che nessuno se ne scandalizzi, per rinnovare e assumere il controllo del gruppo ai Comuni che oggi gli è largamente ostile (ma lo sta diventando sempre meno, all’agitarsi della ramazza). E potrei continuare.

Dunque su questo tema non capisco la perdurante polemica con Renzi, che è stato eletto, due volte, dal suo popolo. Al primo tentativo era stato battuto da Bersani, che poi aveva “quasi” perso le elezioni, col risultato di essere sostituito alle successive primarie da votanti che sapevano a cosa sarebbero andati incontro scegliendo Renzi, il cui temperamento credo non sia stato una sorpresa per alcuno.

Dopo la sconfitta al referendum, c’è stato un congresso del Pd, con antagonisti rispettabili e autorevoli, ancorché non premiati dal voto degli iscritti: dove sarebbe il vulnus democratico di un leader che adesso vuole realizzare le politiche per le quali è stato eletto? Se mai, a Renzi è da imputare la perdurante evasività sul programma del suo partito.

Quanto all’unità (elettorale) dei partiti diversi, tutto dipenderà dalle vicende di queste ore sulla legge elettorale: col proporzionale puro che ci ritroviamo, l’interesse di ciascuno sarebbe di correre da solo per giocare dopo le proprie carte. Certo Berlusconi si è sempre dimostrato più capace di mettere insieme un’alleanza; ma l’eterogeneità di quelle passate non gli ha mai consentito di governare con efficacia. Per questo Renzi non è incantato dalla prospettiva di una armata (quasi) Brancaleone al suo fianco, fatalmente dedita più a litigare che non a governare, come del resto è nelle tradizioni storiche della sinistra, regolarmente confermate.

Resta da vedere, ed è tutt’altro che secondario, come si potrà formare un governo: dubito che l’esasperata affermazione dell’identità possa favorire la ricerca di un accordo tra forze europeiste e anti-populiste, l’unico obiettivo da perseguire per non mettere a repentaglio la tenuta del tessuto democratico del nostro Paese e le sue prospettive di rimettersi davvero in carreggiata.

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