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Dossier Il tempo di lauree «innovative»

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    Dossier | N. 22 articoliIl dibattito sull’Università - 40 anni persi

    Il tempo di lauree «innovative»

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    A breve molte Università si cimenteranno con la creazione di percorsi formativi per i corsi di laurea a orientamento professionale. Premetto che è un po’ fuorviante la definizione “a orientamento professionale”, come se le altre, quelle articolate “3 + 2” o ciclo unico, non orientassero ad alcuna professione. Pertanto mi permetto di distinguere queste lauree “innovative” – perché mi auguro che lo siano davvero nella sostanza – da quelle esistenti, facendo riferimento al glossario Ocse.

    Le lauree in essere sono giustamente costruite secondo un impianto in cui la formazione teorica gioca un ruolo essenziale, al fine di fornire una qualificazione tale da consentire l’ingresso nel mondo della ricerca avanzata o l’accesso a professioni richiedenti competenze di elevato livello. Le altre, previste in ordinamenti di svariati Paesi e da noi in fieri, hanno la peculiarità di essere – sempre secondo glossario Ocse – generalmente di durata più breve e focalizzate su competenze pratiche, tecniche e molto legate alle esigenze del mondo del lavoro, sebbene alcuni principi concettuali di ordine teorico siano comunque previsti. In Italia fino a oggi – ad esclusione dell’esperienza degli Its che però coinvolge un limitatissimo numero di studenti (circa 4.200 diplomi Its rilasciati nel 2016) – la formazione terziaria di tutti gli occupati è di soli due livelli: laurea triennale e magistrale o a ciclo unico. Ritengo che la complessità del mondo del lavoro odierno - e di quello che si prefigura per il futuro - evidenzi l’indispensabilità di livelli differenziati di formazione terziaria, poiché appare impossibile coprire la gerarchia delle conoscenze e competenze richieste solo con l’assetto attuale. Ho volutamente usato il termine “gerarchia”, riferito alle competenze e conoscenze, perché dobbiamo sgombrare il campo da un equivoco: se pensiamo che stiamo lavorando a lauree di serie B la battaglia è persa in partenza.

    La vera sfida che, come Università immerse nella contemporaneità, ci dobbiamo porre è costruire un sistema formativo universitario che individui più percorsi in dipendenza del tipo di conoscenze e competenze necessarie da fornire ai giovani, affinché poi essi, da lavoratori adulti di società sempre più imperniate sulla conoscenza, siano in grado di svolgere un ruolo di traino per la crescita del Paese. In questa cornice l’ideazione e la progettazione degli ordinamenti delle nuove lauree deve rigorosamente essere affiancata da una seria ricognizione del mercato del lavoro, soprattutto inteso in modo evolutivo e non statico. Inoltre, dovrà nascere un forte coordinamento a livello regionale, che tenga conto delle esigenze e delle vocazioni delle specifiche aree, affinché si evitino inutili sovrapposizioni e assurde competizioni. Con schiettezza aggiungo che se avremo finalizzato la nostra attività verso la creazione di corsi di studio fotocopia di triennali già esistenti, con qualche maquillage di praticità, avendo magari in mente nuove cattedre, avremo la certezza di un fallimento sicuro rispetto agli obiettivi formativi logicamente discendenti dal glossario Ocse. Se invece, con umiltà e modestia, e consapevoli che la sperimentazione dovrà costantemente migliorarsi, andremo a un sano e proficuo confronto col mondo delle imprese e della pubblica amministrazione, che ritengo necessiti anch’essa di una riflessione sulla gerarchia di competenze e conoscenze, allora ne scaturiranno percorsi davvero innovativi nella storia universitaria italiana, purché da parte del governo via sia impegno finanziario reale e il mondo produttivo si mostri maggiormente aperto agli investimenti in tal senso e all’innovazione.

    Per far questo non basterà il dialogo col mondo del lavoro e lo studio delle realtà lavorative, sarà necessario anche rimettere in discussione il nostro approccio didattico in questi nuovi corsi di studio. Dovremo infatti riflettere con grande serietà su cosa dovremo insegnare, a chi – intendendo il retroterra culturale e d’istruzione dei nostri futuri allieve e allievi -, per quali nuovi obiettivi di formazione. Così la continuità non prevarrà sul rinnovamento, altrimenti sarà gattopardismo inutile e dispendioso.

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