La verità è che sarà tanto più difficile trovare un nuovo lavoro (o un nuovo partner, se per questo) quanto più desideriamo lasciare quello vecchio. È una delle tante varianti della legge di Murphy, più desideri una cosa meno questa avviene. Per cui, a volte, il salto nel vuoto è l’unica vera alternativa al presente. Come esseri umani siamo strutturalmente portati a preoccuparci del futuro e a vedere tutti i lati negativi di ogni scelta che ci apprestiamo a fare, ma proviamo a rifletterci: quante volte quelle prospettive così negative si sono effettivamente realizzate? E quante volte invece il cambiamento è stato in meglio?
In questo caso il cambiamento poi sta avvenendo ad un livello molto superiore di quello su cui ci muoviamo noi, singolarmente. È già avvenuto: il digitale ha stravolto qualsiasi cosa, in primis il mondo del lavoro. Anche quei mestieri più legati all’analogico devono oggi confrontarsi con esso: dai social alle mail, dalla gestione del database al personal branding su LinkedIn, non se ne può fare a meno. E con questo sono cambiate le regole del gioco, anche. Il lavoro ci segue a casa e in vacanza, essere disponibili quasi h24 è una prerogativa di molti, combinare lavoro e vita privata è sempre più scontato. Eppure, nulla è cambiato. Eppure molti di noi passano dalle 8 ore in su in ufficio, solo per poi uscirne e continuare a rispondere alle mail in metropolitana. Ma allora per cosa abbiamo innovato? Allora per che cosa abbiamo scambiato la nostra libertà?
Scrivo questo testo da una tenda in Nepal. Sì, davvero! Una tenda. E ho appena finito di rispondere a una mail di lavoro. E appena avrò finito questo, visto che non ho sonno, scriverò un articolo per un mio cliente. No, non sono una stacanovista, né sto cercando di fare un esempio estremo di dipendenza da lavoro. Sono una nomade digitale. O almeno sto provando a esserlo. Ho lasciato il “posto fisso” qualche mese fa, dopo anni di programmazione e organizzazione. Non avevo un altro lavoro, non avevo agganci, solo la voglia di mettermi in gioco e dei soldi faticosamente risparmiati. Ah sì, e un biglietto aereo di sola andata. Avevo paura. Sapevo che i soldi prima o poi sarebbero finiti, e che la mia gagliarda avventura avrebbe potuto risolversi in un colossale flop, un ritorno a casa fallimentare, ovviamente «senza più riuscire a trovare lavoro».
In questi (pochi) anni di lavoro non mi sono certo fatta un nome, ma ho capito di essere brava in alcune cose. E che per farle non avevo bisogno di essere in ufficio: mi bastava un computer! A volte, addirittura, come adesso, solo un cellulare. E quando ti rendi conto di lavorare meglio quando sei in vacanza di quando sei in ufficio, più serena e più produttiva, capisci che c’è qualcosa che non va!
E così ho fatto il salto nel vuoto. Per un po’ non ho nemmeno provato a rendere quel sogno, quella mia abilità, una professione retribuita che potessi svolgere da remoto. Era più facile dirmi che non aveva senso provarci, che avrei fallito, che la crisi aveva cambiato le cose, che non c’era mercato, che mi avrebbero pagata una miseria. Poi, non so per quale ispirazione divina, ho scritto un post. Sì, un post su Facebook. Su uno dei tanti gruppi online per scambio di competenze in ambito comunicazione digitale. Un bel post, in cui ho cercato di dimostrare, invece di comunicare, la mia bravura a scrivere. E ho cominciato a ricevere risposte. Proposte, richieste di preventivi, complimenti... solo questo, solo un post. Improvvisamente sono diventata, anche se solo in piccolo, quello che sognavo di essere: una nomade digitale. Una sottopagata, povera, sfruttata, felice nomade digitale.
Ora, non diventerò certo ricca, né famosa. Non avrò l’auto aziendale, o una casa piena di oggetti costosi. Ma ho la consapevolezza di poter essere pagata per fare ciò che amo da una tenda in Nepal, dopo una splendida giornata passata a fare cose incredibili. E di aver ottenuto questo privilegio solo per aver avuto il coraggio di fare quel salto nel vuoto. E comincio segretamente a maturare la speranza che forse, al mio ritorno, non rischierò di non trovare più lavoro, perché non avrò bisogno di elemosinarlo, ma sarò in grado di crearmelo.
Ilaria Cazziol
Cara Ilaria
La passione vissuta con una larga cultura è una guida di maggior valore per le scelte di quanto non sia una razionalità applicata a valori di piccolo cabotaggio. Credo che i complimenti che hai già ricevuto si aggiungano quelli dei lettori di questa rubrica e i miei.
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