Oltre metà dei veneti e circa il 40% dei lombardi hanno manifestato l'esigenza di una maggiore autonomia. Un risultato che non sorprende ma che merita attenzion,e poiché interviene in una fase storica in cui si stanno moltiplicando le rivendicazioni nazionali e regionali.
Al di là delle differenze rilevanti ed evidenti tra quanto sta accadendo a Barcellona e la consultazione svoltasi ieri in due delle più importanti regioni italiane, c'è un minimo comun denominatore in queste rivendicazioni che si fonda anzitutto sull'esigenza di poter disporre di una parte consistente delle risorse economiche prodotte sui singoli territori. Nel caso di Veneto e Lombardia si sostanzia nella richiesta di trattenere diverse decine di miliardi del cosiddetto residuo fiscale. Adesso si aprirà il confronto con il governo perché il referendum, come hanno ammesso anche gli stessi proponenti, non produce alcun risultato automatico e il percorso poteva essere avviato dai governatori (come ha fatto l'Emilia Romagna) senza ricorrere alle urne.
Due risposte differenti
Maroni e Zaia hanno però voluto che fosse il popolo a pronunciarsi per rafforzare politicamente la loro scelta. Ma se così è, anche la diversa risposta dei veneti e lombardi ha una valenza politica. Il dato che più salta agli occhi è certamente quello della diversa partecipazione: circa 20 punti. In Veneto siamo infatti ben oltre il quorum del 50% mentre in Lombardia il numero dei partecipanti è largamente al disotto, senza contare che Milano è stata la città con la minore affluenza. Un dato che Maroni aveva già metabolizzato visto che alla vigilia del voto aveva definito un successo il raggiungimento del 34%, facendo riferimento a precedenti consultazioni referendarie. Ma resta comunque, rispetto al Veneto, una differenza macroscopica che non può passare inosservata e che certamente peserà anche nei rapporti interni alla Lega.
A Maroni servono alleati
La riconferma di Maroni alla guida della regione non è in discussione ma il governatore lombardo per rafforzarsi dovrà sempre più fare affidamento sugli alleati a partire da Fi. Prospettiva che certo non entusiasma Matteo Salvini, che punta a una lega autonoma da Silvio Berlusconi. Come in Veneto, dove Zaia regna indiscusso e il risultato ottenuto ieri lo conferma. Un successo, quello del governatore veneto, che per più di qualcuno lo proietta in una dimensione nazionale che attualmente è appannaggio esclusivo di Salvini.
C'è chi sostiene che i due referendum siano stati anzitutto un'operazione di propaganda a pochi mesi dalle elezioni politiche. Ma un'operazione di questo tipo era perfettamente coerente ed efficace per un partito che si connotava e rivendicava la sua natura territoriale. Assai meno per chi invece punta a trasformare il Carroccio in una Lega nazionale. Certo tanto Salvini che i due governatori hanno usato toni assai moderati, ma resta comunque difficile andare a chiedere voti in quelle regioni che della solidarietà del lombardo veneto non possono fare a meno. Si spiega così anche il disinteresse mostrato verso i referendum da Beppe Grillo, che nel centro sud raccoglie i maggiori risultati, nonché l'aperta ostilità di Giorgia Meloni, la leader di FdI che, pur essendo una delle gambe del centrodestra, ha attaccato a testa bassa l'alleato in nome della difesa dell'unita nazionale e forse soprattuto del suo elettorato.
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