Caro Fabi,
sono una ragazza 22enne, nata quindi nel 1995. Leggo spesso Il Sole 24 Ore perché mio padre è commercialista e lo porta a casa dopo l’ufficio. Mi interessa soprattutto la pagina che apre con le lettere e con le interessanti risposte sue e delle altre firme del quotidiano. Appartengo alla generazione in bilico tra il XX secolo e quella che viene chiamata la generazione dei nativi digitali. È la generazione dei ragazzi che vivono i cambiamenti con velocità e cercano di adattarsi agli imprevisti. Noi della generazione a cavallo tra i due secoli abbiamo assistito al boom della crisi economica, all’instabilità sociale causata dai ricorrenti attentati e alla paura del futuro, dall’alto tasso di disoccupazione presente in Italia. La mia domanda è: per quale motivo i ragazzi della società italiana non sono interessati a vivere esperienze di volontariato? Perché non si fanno conoscere le molte opportunità che vengono offerte per brevi o lunghi periodi sia in Italia che all’estero? Negli Stati Uniti il volontariato è vissuto come opportunità di crescita personale e professionale, valutato positivamente dalle aziende nella selezione dei suoi impiegati e permette di avere un riscontro positivo concreto nella realtà che ci circonda.
Stefania Mattei
Gentile Stefania,
è vero, il volontariato è ancora poco diffuso e poco conosciuto. Secondo i dati dell’ultimo Rapporto Giovani quasi due terzi dei giovani italiani non ha mai fatto esperienze di questo tipo. E solo il 6% vi si stava dedicando al momento della ricerca. Ma è interessante notare che si ferma al 6% anche la percentuale di chi esclude di poter prendere in considerazione proposte di volontariato. Si può affermare quindi che nove giovani su dieci possono essere interessati a compiere un’esperienza che costituisce nello stesso tempo una scuola di vita e un esempio di solidarietà. Con una semplice ricerca sulla rete si possono trovare decine di possibilità: dalle iniziative planetarie delle Nazioni Unite alle proposte per impegnarsi qualche ora nel quartiere, nella parrocchia, nelle associazioni più vicine.
Mi permetto di citare due esperienze di associazioni non profit in questa prospettiva. A livello di impegno all’estero c’è un’associazione come Aiesec che offre progetti di volontariato in più di 126 Paesi, con un impegno dalle 6 alle 8 settimane grazie anche alla collaborazione con l’Onu per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Anche Avsi ha molte iniziative nei Paesi in via di sviluppo, ma accanto a queste ha proposto nelle scorse settimane a una grande impresa, la Whirpool, di consentire ai dipendenti di dedicare un giorno a una iniziativa di solidarietà: hanno risposto in 150 che hanno fatto i volontari in un centro di accoglienza per gli immigrati. Per fortuna iniziative di questo tipo ce ne sono molte, ma ce ne potrebbero essere molte di più. Questo per sottolineare come il volontariato non abbia età e possa rispondere sia all’esigenza di compiere nuove esperienze utili anche dal punto di vista professionale, sia a quello spirito di fratellanza che si muove con generosità di fronte a situazioni di disagio.
gianfranco.fabi@ilsole24ore.com
© Riproduzione riservata