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Il complesso puzzle dei tavoli di crisi

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Scenari

Il complesso puzzle dei tavoli di crisi

  • –Giampietro Castano

Nel nostro ordinamento la gestione delle crisi d’impresa, anche dopo la recente riforma, è ancora orientata dal principio della tutela del creditore. I tentativi di anteporre la salvaguardia dell’impresa, a partire dalle norme sull’amministrazione straordinaria e sul concordato, non sembrano ancora in grado di allineare il nostro Paese al sistema economico-giuridico presente nei Paesi anglosassoni. Si vedrà alla prova dei fatti se le buone (e molto complesse) intenzioni della riforma saranno confermate.

In senso diverso si muove la gestione delle crisi d’impresa presso il ministero dello Sviluppo economico (in una sezione appositamente dedicata a questi problemi). I “tavoli” che si attivano in quella sede hanno l’obiettivo di salvaguardare l’impresa o, quando questo sarebbe impossibile, avviare processi di reindustrializzazione. Termine, quest’ultimo, utilizzato per significare la creazione di opportunità economiche e di lavoro laddove la crisi, o le scelte strategiche dell’imprenditore, le hanno ridotte o annullate.

Quindi, in riferimento all’articolo «Un ruolo chiave va assegnato alle parti sociali» pubblicato sul Sole 24 Ore del 9 ottobre, si precisa che i “tavoli” del Mise non si concludono con “uscite incentivate e il ricorso agli ammortizzatori sociali”, strumenti gestiti dal ministero del Lavoro, ma prevalentemente con misure di politica industriale che possono anche prevedere gli strumenti richiamati dall’articolo. Non sono quelli però i driver che guidano il Ministero.

Due sono invece i principali obiettivi nella gestione delle crisi aziendali presso il Mise.

Da un lato l’azione di mediazione finalizzata a ricercare la composizione dei conflitti che quasi sempre accompagnano le crisi aziendali. È un lavoro che richiede competenza, saggezza e affidabilità senza le quali nessuna mediazione può avere successo. Questo “mestiere” (abbassare la febbre del malato, si potrebbe dire) è formalmente riconosciuto in alcuni ordinamenti di Paesi europei, a testimonianza che la ricerca di una intesa ha valenza non solo sociale ma anche economica.

Dall’altro lato (ma non subordinato al primo) si colloca il lavoro per la ricerca di soluzioni industriali o di servizi sostenibili nel lungo periodo e tali da consentire almeno un parziale recupero di occupazione.

È un lavoro difficile per più ragioni: la mancanza di competenze dedicate al recruitment di investitori e la mancanza di strumenti finanziari specificamente dedicati al perseguimento di questi obiettivi. Su questo fronte, l’esperienza di molti anni di lavoro ha permesso di costruire un modello operativo che si è dimostrato efficace in molti casi e ha stimolato il miglioramento delle procedure per la circolazione delle informazioni funzionali alla attività di ricerca di nuovi investitori.

Il modello che viene proposto quando si è di fronte a cessazione totale o parziale di attività, prevede la predisposizione di un “pacchetto attrattivo” (risorse economiche, finanziarie, procedurali, eccetera) da sottoporre ai potenziali investitori attraverso strutture pubbliche o private specializzate in questo specifico recruitment.

Alla definizione di questa proposta (e qui sta il valore aggiunto dei tavoli di crisi) concorrono tutti gli stakeholder che agiscono dentro lo specifico caso: l’imprenditore, i lavoratori, le istituzioni locali e centrali e spesso i creditori pubblici e privati interessati alla ripresa economica del territorio interessato dalla crisi. Sono già parecchi i casi che si potrebbero ricordare. Se ne citano alcuni: Whirlpool dove si è intervenuti in modi diversi per il rilancio dei siti di Trento e Caserta, Bridgestone dove è stato possibile trasformare la decisione di cessare l’attività a Bari in una ripresa produttiva che ora consente nuove assunzioni a fronte di un notevole aumento dei volumi prodotti, Industria Italiana Autobus dove si è consentito la salvaguardia ed il rilancio di due siti storici (Breda Menarini a Bologna e Iveco ad Avellino), oppure piccole realtà come Sgl di Narni specializzata in componenti per la siderurgia dove proprio in questi giorni si sta definendo la ripresa produttiva dopo tre anni di fermo, Alcatel (ora Nokia) che ha dismesso una attività strategica ora rilanciata da Siae Microelettronica, un’azienda italiana di Tlc, Saeco-Philips dove è stato possibile insediare nuove attività in un’area di crisi molto seria dopo un difficile processo di ristrutturazione. Molti altri sono i casi risolti (Dema in Campania, Carapelli in Lombardia, Brioni in Abruzzo, per citare alcuni dei più recenti) e molti altri sono ancora da risolvere (Alcoa, ex Lucchini di Piombino, Vetreria Sangalli in Puglia, Piaggio Aero in Liguria, Ferroli in Veneto).

Oltre al lavoro sinteticamente richiamato, il Mise sta definendo procedure di trasferimento autorizzato delle informazioni, raccolte ai tavoli di crisi, alle strutture preposte all’attrazione di investitori internazionali. Verranno coinvolti in questa importantissima attività l’Ice, il ministero degli Esteri, le Camere di commercio oltre alla Confindustria e alle altre associazioni di imprenditori. In questo modo si creerà un raccordo efficace e costante tra crisi d’impresa e strategia economico-finanziaria finalizzata a dare concrete soluzioni ad aree territoriali spesso interessate anche da gravi tensioni sociali.

Tutto a posto dunque? Certamente no. Molte cose devono ancora essere fatte: dal coordinamento (anche legislativo) del lavoro svolto per le crisi d’impresa (talora in raccordo e talora no con le procedure concorsuali), al coinvolgimento strutturato di tutti gli stakeholder, dalla migliore qualificazione di coloro che gestiscono e partecipano ai tavoli di crisi (non sempre la loro professionalità è adeguata), alla destinazione di risorse finanziarie funzionali ai processi di reindustrializzazione. Tuttavia la strada individuata si sta già dimostrando efficace e lo può diventare ancora molto di più.

Una cosa però è certa: i tavoli di crisi (e di confronto) sono parte del complesso e articolato lavoro svolto al Mise per fare politica industriale nel nostro Paese. Non sono la sede dove si distribuisce cassa integrazione e tantomeno incentivi ai licenziamenti; ad altri queste incombenze pur lodevoli. Basterebbe una attenta lettura del lavoro svolto da oltre 10 anni, nel vivo di una delle più gravi crisi economiche ed industriali, per comprendere quanto diverso e quanto importante sia il lavoro svolto al Mise per la gestione delle crisi d’impresa.

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Responsabile dell’unità Gestione crisi d'impresa al ministero dello Sviluppo Economico