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Che cosa insegna l’esito del voto in Sicilia

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VINCITORI E VINTI

Che cosa insegna l’esito del voto in Sicilia

Ha vinto la coalizione più ampia e più unita. Ha vinto Musumeci che si è dimostrato un ottimo candidato. Ma ha vinto anche Berlusconi. Ancora una volta la sua strategia di unificazione della destra si è dimostrata vincente. Ha perso il M5S, ma ha comunque ottenuto un bel successo arrivando - senza alleati - al 35%. Ha perso il Pd ma può consolarsi con un terzo posto che non era scontato. Ha sicuramente perso la sinistra radicale. Ha perso anche Alfano la cui lista non è riuscita ad arrivare al 5% e quindi resta esclusa dall’assemblea regionale. Questo - in sintesi- il quadro delle elezioni regionali siciliane.

Approfondendo l’analisi sono due gli aspetti di questo voto che scegliamo di sottolineare. La prima è la performance del M5S. Cancelleri ha ottenuto il 34,7% dei voti mentre le sue liste si sono fermate al 26,7%. Uno scarto di otto punti non è una cosa da poco. Perché? La domanda investe direttamente la questione del voto disgiunto, consentito dalla legge elettorale siciliana (e negato - sia detto per inciso - dal Rosatellum bis). Una quota significativa di elettori ha scelto di votare il candidato del Movimento ma non la lista. La questione è rilevante perché incide sulla valutazione della sua reale consistenza. Quale è il vero valore del M5S in termini elettorali: il 34,7 % o il 26,7%?

La risposta è da cercare in due possibili spiegazioni. Una privilegia il passaggio di voti da sinistra al M5S. Apparentemente i dati sembrano confermare questa ipotesi. Micari, candidato del Pd, ha preso il 18,7% dei voti contro il 25,4% delle liste che lo appoggiavano. Praticamente lo stesso scarto relativo al M5S. Secondo questa ipotesi molti elettori avrebbero preferito votare Cancelleri pur non essendo simpatizzanti del Movimento. In questo caso la sua forza reale sarebbe il 26,7 e non il 34,7. Ma in Sicilia le cose non sono mai come sembrano essere.

L’ altra ipotesi è più “sicula”. Chi ha votato Cancelleri e non la lista lo ha fatto perché conta sì l’espressione della rabbia e della protesta (da qui il voto al candidato), ma conta anche “la famiglia”, vale a dire l’appartenenza a quelle reti clientelari che sono il tessuto della politica siciliana (da qui il voto ad una lista diversa da quella di Cancelleri). In questo caso la vera forza del Movimento sarebbe il 34,7 e non il 26,7. Solo l’analisi dei flussi elettorali potrà dirci quale di queste due ipotesi è più fondata. La questione ha una sua rilevanza molto concreta. Se nel resto del Sud, che è diventata la sua vera roccaforte, il M5S dovesse superare il 30% riuscirebbe a conquistare molti seggi uninominali rendendo certa l’impossibilità di una maggioranza del Pd o del centro-destra.

L’altro aspetto di rilievo riguarda le implicazioni di questo voto per la politica nazionale. Terreno scivoloso. I contesti sono profondamente diversi, ma effetti ci saranno. Alcuni si vedono fin d’ora. Il primo è la quasi certezza che il centro-destra si presenterà unito alle prossime elezioni. Che a Salvini piaccia o no, sarà Berlusconi a dettare le regole di ingaggio per la prossima campagna elettorale. Lo sta già facendo. La credibilità guadagnata con l’esito del voto siciliano gli consente di presentarsi già da ora come la diga contro il populismo grillino. Nel 1994 l’avversario da battere era il comunismo degli ex-comunisti, oggi è il populismo pentastellato. Non certo quello leghista che dovrà stare al gioco.

Come ben sa il cavaliere nulla mobilita di più gli elettori dell’indicazione di un chiaro avversario da battere. Il duello televisivo non sarà più quello tra Renzi e Di Maio, ma tra Di Maio e Berlusconi. I due si sono scelti reciprocamente come i veri contendenti. Per l’uno e per l’altro è conveniente elettoralmente che sia così. A Berlusconi conviene farlo per raccogliere i moderati, spaventati da Grillo, sotto le sue bandiere. A Di Maio conviene per raccogliere voti nelle file ancora consistenti dell’anti-berlusconismo. A farne le spese dovrebbe essere il Pd la cui difficoltà a fare coalizione lo rende meno credibile sia come argine contro il populismo sia come alternativa a Berlusconi. Ma siamo solo agli inizi della partita.

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