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Le virtù dell’economia avranno la meglio sui vizi della politica

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Le virtù dell’economia avranno la meglio sui vizi della politica

Egregio Dottor Galimberti,
il Paese è frastornato. Nuova legge elettorale, alleanze politiche che si decompongono, partiti di destra che si rafforzano. Renzi che si trova in affanno e Berlusconi che risorge, anche grazie al voto siciliano.
Come dovrebbero reagire i cittadini di fronte a tutto questo? Le possibilità sono molteplici, ma quelle più probabili sono tre: 1) gli italiani abbandonano Renzi per il rinato Berlusconi; 2) non scelgono né l’uno né l’altro, e votano Di Maio; 3) non scelgono nessuna delle due alternative e si rifugiano nell’astensionismo, Sicilia docet!
La prima considerazione che occorre fare è che gli italiani sono stanchi e non capiscono più tutti i tatticismi dei partiti. Non riescono più a capire questo cambio continuo e scellerato di leggi elettorali che si susseguono, ben sapendo che nessuna, di quelle approvate negli ultimi anni, è mai riuscita a dare un vincitore certo alle elezioni, e quindi, penseranno: perché tanta fatica per niente?
Del resto, a questa stanchezza dei cittadini verso la politica, è seguito l’incremento esponenziale, e non solo in Italia, dei partiti di destra e xenofobi. Era prevedibile, così come non è difficile pensare che un tale scenario politico determinerà situazioni di pericolo per la vita democratica, in Italia e in Europa.
La seconda considerazione è: perché questa classe politica non riesce a recuperare un ruolo di credibilità e di fiducia nel rapporto con i cittadini? La risposta probabilmente sta nel fatto che con la morte della democrazia così come l’avevano concepita i nostri padri costituenti, mutuandola dal modello liberale, non si riesce più a far rinascere un rapporto virtuoso tra i cittadini e la politica, e per essa, con lo Stato, il rapporto tra i cittadini e le istituzioni.
Il rapporto tra Stato e cittadini: quello che oggi e rimasto è debole e spesso troppo vessatorio nei confronti dei secondi. Manca il senso identitario nel proprio Paese, nelle sue istituzioni. A questa situazione ha contribuito in modo decisivo il dilagare del credo nella globalizzazione, che ha travolto sistemi economici, sociali, partiti tradizionali e sistemi di alleanze internazionali. La globalizzazione ha sostenuto fortemente la nascita di partiti leggeri, ridotti a comitati elettorali. Ha favorito il modello di partiti alla cui guida vengono messi leader senza storia, uomini immagine, con la patente della novità e della giovanilità, da usare all’abbisogna, neanche fossero dei fotomodelli da utilizzare per il lancio di un capo di abbigliamento. Non hanno alcuna idea del modello sociale da proporre ai cittadini né tantomeno lo discutono con loro, tanto bastano le comparsate in Tv. Ormai la politica si celebra nei salotti televisivi; la partecipazione democratica dei cittadini alla formazione dei progetti politici non conta più nulla.
E allora la domanda da farsi è: può una democrazia così stanca e azzoppata rinascere? Può questa classe politica, che non ha alcun senso della storia, assumere un ruolo così impegnativo? In alternativa, che altre possibilità abbiamo a disposizione? Ricominciare ad affrontare i problemi uno a uno, con buon senso e pragmatismo nelle soluzioni?
Si ha la coscienza che per affrontare i problemi del Paese, occorre tener conto dei milioni di italiani che arrivano a fatica a fine mese, mentre ce ne sono ancora troppi che navigano tra privilegi, pensioni e stipendi non meritati? Che il sommerso ancora dilaga e troppi guadagni illeciti vengono portati allegramente nei paradisi fiscali?
La soluzione sta nella consapevolezza della classe politica, ma soprattutto, in quella dei cittadini e della classe dirigente che quotidianamente opera, sia nel pubblico che nel privato. Perdere ulteriormente tempo significa consegnare il paese al qualunquismo e all’astensionismo elettorale.

Giuseppe Filippi

Caro Filippi,
non posso che concordare con la sua analisi. Solo temo che la soluzione dei problemi, prospettata nelle sue ultime righe, prenderà tempo: si tratta di cambiare pelle e mentalità, cosa che non si fa dall’oggi al domani. Non sono un politologo né un sociologo, ma un economista, ed è nell’attività economica che trovo invece qualche conforto ai mali che lei elenca. I nostri problemi vengono in gran parte da tre lustri di debolezza dell’economia, che ci hanno accasciato, ma hanno anche generato degli anticorpi. C’è una sorprendente discrasia fra i vizi della politica e le virtù dell’economia. La ripresa in corso in Italia e in Europa è più vitale di quanto si pensi e varrà ad alleggerire la zavorra di una politica malata.
fgalimberti@yahoo.com

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