Gli Stati Uniti hanno vissuto la “paura rossa” subito dopo la Prima Guerra Mondiale. Per tre anni i russi hanno incitato rivolte e scioperi dei lavoratori come parte di una campagna orchestrata per compromettere il capitalismo americano. Allora, il 29 aprile del 1920, il procuratore generale degli Stati Uniti, A. Mitchell Palmer, avvertì che dopo due giorni, il primo maggio, i lavoratori americani sarebbero insorti per rovesciare il governo americano con la forza. Non accadde e la “paura rossa” svanì con la stessa rapidità con cui era apparsa.
Gli Usa hanno sperimentato la seconda “paura rossa” dopo la Seconda Guerra Mondiale. Lo sviluppo della bomba atomica da parte dell’Unione Sovietica, insieme alla “perdita” della Cina nelle mani di Mao Zedong e dei comunisti cinesi, hanno alimentato un terrore febbrile all’interno degli Stati Uniti che, a posteriore, sembra poco credibile. Le società americane, soprattutto gli studi cinematografici di Hollywood, crearono delle blacklist di presunti simpatizzanti comunisti, rovinando la vita di migliaia di professionisti.
A Washington DC, i procedimenti nel Congresso americano etichettavano indiscriminatamente personalità rinomate come il generale George C. Marshall e il segretario di stato Dean Acheson come tirapiedi comunisti. Il senatore del Wisconsin Joseph McCarthy – il cui braccio destro, Roy Cohn, sarebbe poi diventato mentore di Donald Trump – creò un retaggio di calunnia talmente duro a morire che i suoi metodi portano ancora il suo nome: maccartismo. E ben presto alcune audizioni al Congresso e un documentario televisivo mostrarono McCarthy come un menzognere e un demagogo. Così come nel 1920, la “paura rossa” dei primi anni Cinquanta svanì con la stessa velocità con cui era comparsa.
Lo stile paranoico della cremlinologia americana
Proprio quando stiamo festeggiando il centenario dalla Rivoluzione bolscevica in Russia, una nuova “paura rossa” sembra essere in corso, legata alle rivelazioni circa l’ingerenza della Russia nelle elezioni presidenziali del 2016. Con il procuratore speciale Robert S. Mueller che inizia a portare alla luce legami sostanziali tra membri della campagna presidenziale di Trump e i circoli ufficiali russi, un senso di paranoia russo-centrica inizia a farsi sentire.
Le nuove rivelazioni secondo cui centinaia di maligni troll russi sui social media sarebbero stati attivi durante le elezioni Usa, nonché la campagna per il referendum sulla Brexit, hanno contribuito a far crescere ancor di più questo timore. Mentre però quei troll certamente puntavano a deridere la democrazia occidentale, suggerire che sovvertissero in modo significativo una di quelle votazioni vuol dire dar loro fin troppo credito.
Il pericolo ora è che i validi timori circa l’ingerenza russa nel sistema politico americano cedano il passo alle teorie cospiratorie, come nei precedenti casi di “paura rossa”. In un’audizione del Congresso tenutasi in settembre, Gwen Moore, deputata per lo Stato del Wisconsin lamentava di aver ricevuto, durante le presidenziali del 2016, una telefonata preregistrata da parte di qualcuno con un “chiaro accento slavo” che l’ha spinta a votare contro Hillary Clinton. Altri commentatori hanno sottolineato i legami tra la National Rifle Association e la Russia, come se il presidente russo Vladimir Putin fosse in qualche modo responsabile delle numerose sparatorie di massa dell’America. Altri ancora suggeriscono che la Russia abbia tentato di destabilizzare gli Usa attraverso il gioco Pokémon Go.
Tutte queste rivendicazioni sono strettamente focalizzate sulla politica americana, invece che su considerazioni geopolitiche di più ampio spettro. Visto però che il comunismo sovietico è collassato oltre un quarto di secolo fa, vale la pena chiedersi quale minaccia possa realmente rappresentare il Cremlino per gli Stati Uniti. Da quanto ne sappiamo, il principale obiettivo del Cremlino nelle elezioni del 2016 è stato perlopiù quello di mettere in imbarazzo la rivale politica – Clinton – e sostenere Trump, con il quale sperava di forgiare un rapporto di collaborazione.
Il fatto è che la moderna Russia non rappresenta alcuna minaccia per gli Usa, l’Unione europea o l’Occidente in generale. La Cina è una potenza autoritaria ben più ricca della Russia. E ora che ha consolidato il suo potere, il presidente cinese Xi Jinping gode di un livello di influenza globale che Putin si può solo sognare.
Oltre alla Cina, l’Arabia Saudita è ben più crudele ed erratica della Russia; e il Pakistan è più volatile. Anche la Turchia, membro della Nato, viola i diritti umani in modo più palese rispetto alla Russia. Dal fallito colpo di stato nel luglio del 2016, il governo del presidente Recep Tayyip Erdogan ha incarcerato migliaia di giornalisti, funzionari pubblici e oppositori. Inoltre, la Turchia evidenzia una straordinaria capacità di destabilizzare l’Europa creando l’arteria per migranti irregolari e rifugiati provenienti dalla Siria e da altre parti della regione.
Es occidentale
Ma la Russia pone un diverso tipo di sfida, che affonda le radici nelle rivendicazioni di Putin di rappresentare una visione alternativa dell’Occidente. In quanto europei, i russi dovrebbero essere come noi, ma con un copione diverso. Come i bolscevichi un secolo fa, Putin ora sfida le idee europee e americane sul futuro.
Nel 1917 gli europei occidentali e gli americani rimasero scioccati dall’abolizione per mano dei bolscevichi della proprietà privata e dalla proclamazione dell’uguaglianza universale. Durante il primo caso di “paura rossa”, i leader occidentali temevano che i report provenienti dalla neo-nata Unione Sovietica avrebbero innescato una reazione a catena di rivolte dei lavoratori in tutta Europa e America. Per alcuni anni la Germania è sembrata sul punto di seguire le orme dei bolscevichi, con Lenin stesso che prevedeva che un giorno sarebbe accaduto.
Rispetto al progetto di Lenin, quello di Putin è reattivo e intellettualmente incoerente. Invece di lanciare un forte appello per il progresso sociale prospettico e offrire un programma su come perseguire tale obiettivo, Putin tirerebbe l’Europa verso l’interno, nello stesso tipo di cul-de-sac morale ed economico in cui si trova ora la stessa Russia. Nella Russia di Putin, l’obiettivo è il ritorno a una putativa Era Aurea basata sulla “famiglia tradizionale”, sulla cristianità e sull’industria pesante.
Secondo Putin e i politici russi di rilievo, l’Occidente, focalizzato sulla propria autonomia, inclusi i diritti dei gay, si è dimenticata dei termini padre e madre, marito e moglie. “Vediamo come molti paesi Euro-Atlantici abbiano fondamentalmente intrapreso un cammino di rifiuto delle proprie radici, compresi i valori cristiani alla base della civiltà occidentale”, dichiarò Putin ai delegati occidentali al Forum “Valdai” del 2013. “Questa è una politica in cui avere una famiglia con molti figli e un matrimonio omosessuale, credere in Dio e nel diavolo sono messi allo stesso livello”.
Sebbene il progetto ideologico di Putin sia profondamente diverso da quello dell’Unione sovietica, di fatto condivide il fervore di proselitismo del bolscevismo. Solo lo scorso mese, la Russia ha rilanciato a Sochi il “Festival mondiale della gioventù e degli studenti” dell’era sovietica, invitando i giovani di tutta Europa a unirsi alla “lotta contro l’imperialismo”.
Con messaggi come questi, la Russia riveste il ruolo di es d’Europa. È una risposta militarista, populista, patriottica, dinamica, politicamente scorretta per l’ego delle élite europee. A livello intellettuale, il progetto di Putin è un bricolage approssimativo delle vecchie idee di sinistra e dei dogmi conservativi. Ma riesce ancora a mostrare le insicurezze europee e americane nel “progetto occidentale” – e ad appellarsi ai populisti occidentali sia di destra che di sinistra. Le autorità russe sono state stupite, e talvolta soddisfatte, del panico morale che hanno seminato in Occidente. Come ha riferito alla Cnn il ministro degli Esteri Sergei Lavrov nell’ottobre del 2016, “Ci lusinga, ovviamente, ricevere questo tipo di attenzione – dato che siamo una potenza regionale, come ci ha chiamati poco tempo fa il presidente [Barack] Obama”.
La Russia nel verso giusto
Quindi in che modo dovrebbe rispondere l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti? Innanzitutto, dovremmo ricordarci che la Russia è pericolosa solo fintanto che le società occidentali le consentono di seminare confusione in mezzo a loro. A livello politico ed economico, il suo potere è abbastanza limitato. Prendiamo la grande storia del giorno: l’intervento della Russia nelle elezioni del 2016, che è stato effettivo, ma difficilmente decisivo. La storia è perdurata soprattutto per due ragioni. La prima: i democratici sono disperati e non si spiegano come mai abbiano perso un’elezione che si aspettavano di vincere. La seconda: continuano a emergere dei report sul team della campagna di Trump che si mostrano sfrontatamente disponibili ad accettare supporto da una potenza straniera.
Ma questo storia ci dice molto più del triste stato della politica Usa di quanto non dica sulle capacità del Cremlino. I vicini minori della Russia, inclusi Georgia e Ucraina, hanno delle ragioni reali per considerare la Russia come una minaccia alla propria sovranità. Gran Bretagna, Usa, Germania no. Il Pil della Russia è la metà di quello della California. Il suo budget per la difesa è un decimo di quello americano. E i canali attraverso cui esporta la sua propaganda, RT e Sputnik, sono mezzi di comunicazione marginali che in pochi guardano in Occidente.
Inoltre, la Russia di Putin, così come la Cina di Xi, conta pochi alleati strategici. All’Assemblea generale dell’Onu svoltasi nel marzo del 2014, solo 11 piccoli paesi – compresi Armenia, Corea del Nord e Zimbabwe – si sono opposti a una risoluzione che condannava l’annessione della Crimea alla Russia. È ben lontana dell’influenza esercitata un tempo dall’Unione Sovietica.
L’imprevedibile e provocatorio comportamento del governo di Putin potrebbe sembrare minaccioso, ma in realtà equivale allo sforzo di compensare l’incapacità del Cremlino di mostrare la vera potenza. Il fatto che la Russia abbia segnato alcuni successi geopolitici negli ultimi anni è in gran parte dovuto alle debolezze dei suoi avversari. Un vuoto di potere in Ucraina le ha consentito di catturare la Crimea con le truppe di cui già disponeva sul campo a Sebastopoli. E un Comitato nazionale democratico cyber-analfabeta ha consentito agli hacker russi di avere facile successo al server delle email.
In entrambi i casi, il successo tattico ha annullato il fallimento strategico. Sì, la Russia ora controlla la Crimea; ma ha perso per sempre l’Ucraina come vicino fedele sul confine. In modo analogo, l’ingerenza nelle elezioni ha unito due grandi partiti politici dell’America contro la Russia, forse per una generazione. I repubblicani e i democratici al Congresso convengono su pochi temi, ma si sono trovati di comune accordo nell’imporre ulteriori sanzioni alla Russia, contro la volontà dell’amministrazione Trump.
La via da seguire
Come accade, la cosa migliore che i Paesi occidentali possono fare per rispondere all’atteggiamento russo è quello di rafforzare la propria resilienza – sia sul piano morale che su quello pratico. Prima di tutto, i paesi occidentali devono risolvere i punti deboli, facilmente sfruttabili, dei vigenti sistemi politici. Il primo esempio è il Collegio elettorale negli Usa, che risale al 1787, e che nel 2016 ha prodotto esattamente il tipo di risultato perverso che intendeva prevenire.
Più in generale, i paesi occidentali devono fare molto di più che asserire semplicemente la propria superiorità morale in risposta all’inganno e all’aggressione russa in Siria, Ucraina, Caucaso e in altre aree. Le rivendicazioni americane ed europee di rappresentare un “sistema basato su regole e valori” suonano vuote nel Cremlino, e non senza ragione. Non dobbiamo dimenticarci che gli Usa invasero l’Iraq unilateralmente nel 2003, si sono rifiutati di unirsi alle consolidate istituzioni internazionali come l’International Criminal Court, e ora sono l’unico paese a non prendere parte all’accordo di Parigi sul clima.
L’Ue è più impegnata nel multilateralismo e nell’ordine basato sulle regole di quanto non siano gli Usa; ma anche lei mostra alcuni comportamenti che contraddicono i valori professati. Nel 2013, dopo essere entrata in una guerra di offerte geopolitiche con la Russia per l’Ucraina, l’Ue offrì un Accordo di associazione all’allora presidente ucraino Viktor Yanukovych – un uomo che si è ora rivelato essere un tiranno cleptocratico. I leader russi sono lieti di porgersi uno specchio all’Occidente e dire, «Guardate bene. Siete esattamente come noi».
Gli occidentali dovrebbero riconoscere i propri fallimenti morali e mantenere un senso di umiltà quando parlano di trasgressioni russe. Solo in questo spirito hanno il diritto di ricordarsi che i casi di doppio standard del Cremlino sono ben peggiori. La Russia ha infatti ucciso decine di migliaia di cittadini in Cecenia, in nome della tutela della propria “integrità territoriale”, e ha allegramente modificato i confini internazionali con la forza sia in Georgia e Ucraina.
Inoltre nello sviluppare una strategia sulla Russia, i leader occidentali dovrebbero tenere a mente le dinamiche interne del Paese. La Russia non è più chiaramente divisa in operai, contadini e aristocratici come nel 1917. Da quando Putin è salito al potere nel 2000, è emersa una classe media urbana, i cui valori sono più convenzionalmente europei di quelli di qualsiasi gruppo sociale nella storia russa.
I centri metropolitani come Mosca e San Pietroburgo ora vantano piste ciclabili, scuole di yoga e bar che servono latte. Questi servizi forniscono un quadro più completo degli stili di vita. Dimostrano che quando i russi hanno i soldi, viaggiano in Europa e negli Usa, imparano lingue europee e adottano la cultura occidentale. Talvolta avanzano persino delle richieste politiche come hanno fatto nelle manifestazioni di piazza del 2011-2012, e nelle ultime elezioni municipali di Mosca. Diversamente dai bolscevichi, il regime di Putin non ha adottato misure contro questa classe di russi. Li considera semplicemente come “esuli interni” che dovrebbero essere tenuti fuori dalla vita politica.
Un muro da abbattere
Se i governi Usa ed europeo intendono davvero dimostrare che la loro versione della cultura occidentale sia migliore, devono ideare delle politiche che tendano un braccio verso la classe media urbana della Russia. Il messaggio deve essere che l’Occidente ha un problema con il regime di Putin, e non con la Russia in sé.
Questo non è il messaggio che hanno colto i russi. Vale la pena ricordare che per i primi otto anni di governo, Putin aveva avanzato la possibilità di viaggiare senza visto verso l’Ue. Ma ora il Cremlino vuole esattamente il contrario, ossia limitare le interazioni dei cittadini russi con l’Occidente. Se l’Ue si fosse impegnata maggiormente per incontrare il Cremlino a metà strada in quel periodo, probabilmente quel muro diplomatico tra Russia ed Europa occidentale non sarebbe così alto come oggi.
In modo analogo, gli Usa hanno chiuso i consolati e tagliato i servizi di visto al di fuori di Mosca, costringendo i russi che vivono in Siberia e in altre regioni remote a farsi migliaia di chilometri per ottenere il permesso di viaggiare in America. Di conseguenza si sono esauriti anche i programmi di scambio e gli accordi di cooperazione tra le università russe e quelle di altri paesi occidentali.
Il fallimento dell’Occidente di impegnarsi con la popolazione russa è stato una manna dal cielo per Putin e il suo regime, soprattutto considerando lo stato povero dell’economia russa. Fino a quando rivendicherà di rappresentare l“altra Europa”, lo spauracchio neo-bolscevico del Cremlino manterrà il potere, e i nuovi casi di “paura rossa” saranno meno rossi.
Alexander Baunov è senior fellow del Carnegie Moscow Center e direttore di carnegie.ru. Thomas de Waal è senior fellow di Carnegie Europe.
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