Sarebbe bella una Unione europea di cui si vagheggia. Simile agli Stati Uniti. Ma l’Europa non è l’America e ha troppi punti divergenti tra Paese e Paese. Gli egoismi nazionali sono troppo forti per sognare che un ministro spagnolo favorsca un’azienda italiana contro una spagnola, o un ministro belga si stacchi dalla logica francofona per avvantaggiare aziende portoghesi a discapito della Francia.
E così via... Un esercito “comune” sarebbe un esercito prussiano di occupazione ovunque.
Dunque, meglio diluire i legami per mantenere l’Unione europea piuttosto che sognare piu strette coesioni impossibili. Come certe relazioni affettive in cui ciascuno sta a casa propria e quando ci si desidera si scambiano visite. Così non si litiga e tutto è ben chiaro. Mi pare l’unica soluzione per conservare l’Unione europea e attendere, con il tempo
e le seguenti esperienze, di
avvicinarci di più.
Forse tra mille anni uno si sentirà piu europeo che tedesco o ungherese e allora sì, potremo avere un governo comune. Per ora, l’Euro è una truffa che favorisce uno e nuoce agli altri.
Ivano Melandri
Caro Melandri,
in Italia troppo spesso manifestiamo il brutto vizio di accusare gli altri dei nostri mali. Troppo spesso passando da un estremo all’altro. Anni fa l’Europa nel nostro Paese era venerata come la Madonna e i benefici del famoso “vincolo esterno” messi sugli altari patrii. Detenevamo l’indiscusso primato dell’europeismi nell’Unione. Oggi l’Europa rappresenta invece il peggiore dei mondi e delle partnership possibili, l’euro non parliamone.
La verità è che siamo noi il problema e non l’Europa. Noi che abbiamo voluto sposarne sfide e ambizioni, ma poi non ci siamo adeguati a esse, non abbiamo modernizzato e riformato il sistema-Paese, rinviato l’abbattimento del nostro iper-debito e via dicendo
Dopo di che l’Europa ha mille problemi, è in crisi di identità, di consenso, di integrazione, di strategia e visione e non si sa quale sarà il suo futuro. Tutto verissimo e indiscutibile. Ma anche per questo la nostra priorità deve essere quella di non rinviare oltre risanamento e rilancio, strutturale e non solo congiunturale, delle sorti del Paese.
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