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Innovazione, battaglie perse e guerre aperta

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Le lettere

Innovazione, battaglie perse e guerre aperta

Gentile Fabi, in una sua recente risposta (martedì 21 novembre) concludeva con un inno di fiducia nella capacità italiana di sfruttare le potenzialità dell’innovazione grazie alla creatività e alla capacità di rispondere alla domanda di cose utili e belle. Mi permetto di osservare che con un’impostazione di questo tipo possiamo sperare di essere competitivi in alcuni settori, come quello della moda, ma rischiamo di essere sempre più emarginati dove il mercato chiede prodotti sempre più tecnologicamente avanzati. L’Italia ha purtroppo perso una competizione che poteva vederla ai primi posti nel mondo quando ha rinunciato allo sviluppo delle tecnologie informatiche con la crisi dell’Olivetti, quando ha bloccato la ricerca applicata nel campo dell’energia nucleare, quando ha ritardato per miopia economica l’ingresso della televisione a colori. Potrei dire che nel dna italiano c’è più uno spirito di conservazione, di avversione al rischio e di grande voglia di quieto vivere. Ci sono poi tante rigidità di sistema che ostacolano la crescita delle imprese che riescono a nascere. Quello che vorrei sottolineare è che più che continuare a contare sulle capacità creative sarebbe necessario un piano per fare entrare l’innovazione digitale nei programmi di tutte le scuole: solo in questo modo possiamo sperare di far diventare un potenziale business una realtà che i giovani vivono quotidianamente.
Osvaldo De Mattei


Caro De Mattei, gli spunti nella sua lettera sono molti ed ognuno meriterebbe di essere sottolineato e commentato. Ne scelgo due partendo dal fondo. L’innovazione digitale a scuola è un bellissima idea, ma non basta cambiare i piani di studio: il punto di partenza, non facile, dovrebbe essere la formazione di una classe di insegnanti in grado di essere nello stesso tempo istruttori e motivatori, cioè capaci di appassionare i giovani verso le nuove prospettive tecnologiche in ogni ambito produttivo. In merito alla creatività e alle sue garbate critiche le rispondo con le parole di un grande esperto come Federico Faggin, fisico, imprenditore e creatore del primo microprocessore. Nella prefazione al libro “Mind te change, capire il cambiamento per progettare il business del futuro” di Alberto Baban, Armando Cirrincione e Alberto Mattiello (Ed. Guerininext, pagg. 290, € 28) Faggin scrive: “L’innovazione è una leva importante e qui gli italiani sono favoriti perché la creatività è una capacità ampiamente diffusa in Italia. Però la creatività è solo una condizione necessaria, non sufficiente, per l’innovazione. Innovare a livello economico comporta passare attraverso tutto il ciclo innovativo che va dall’idea di prodotto o processo alla ricerca e sviluppo dell’idea, al marketing internazionale, all’approntamento dei metodi di fabbricazione più efficaci, all’acquisizione e protezione di brevetti internazionali e all’acquisizione delle risorse umane ed economiche necessarie per il processo di avviamento, fino a generare il profitto necessario per ripagare l’investimento e fornire i fondi per finanziare l’innovazione successiva. Solo così è possibile creare il circolo virtuoso che produce ricchezza materiale e intellettuale per tempi lunghi”.

Un cambiamento complesso quindi che deve partire dalla convinzione che innovare non è una scelta, ma l’unica opportunità per continuare a far crescere in tutti i sensi il Paese. E valorizzare la creatività è sicuramente fare un passo nella direzione giusta.
gianfranco.fabi@ilsole24ore.com

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