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Vivere in un mondo con l’inflazione da «vasi comunicanti»

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Vivere in un mondo con l’inflazione da «vasi comunicanti»

Buongiorno gentile Galimberti, in merito al Qe della Bce gradirei osservare che, certo, la stampella di una politica monetaria espansiva prima o poi dovrà essere accantonata, e allora a quel punto si apprezzeranno i risultati dei risanamenti dei conti pubblici o si biasimeranno le classi governanti per aver gettato alle ortiche l’opportunità concessa dalla Bce con la sua politica monetaria non convenzionale. L’unico punto dolente del bazooka di Draghi è il meccanismo del “capital key”, che ha convogliato le maggiori risorse su paesi (vedasi la Germania) con differenziali di tassi già ridotti all’osso (per meriti propri), a scapito dei paesi del sud Europa maggiormente bisognosi di calmierare i propri spread. Ma non si poteva chiedere oltre agli amici teutonici, poco propensi a “socializzare” i loro virtuosi atteggiamenti!

Ora, oserei proporre un dubbio su uno dei capisaldi del Qe di Draghi: siamo certi che l’obbiettivo posto dalla Bce, cioè quello di garantire un tasso d’inflazione intorno 2%, non sia da rivedere al ribasso per consentire un percorso di avvicinamento più veritiero a una realtà congiunturale orfana di un’inflazione vecchio stampo? Lei non ritiene che gli effetti di una globalizzazione su vasta scala, il surplus di materie prime come il petrolio, il continuo manifestarsi di nuove tecnologie tese a ottimizzare i processi produttivi, la capacità produttiva inutilizzata (non certo a casa di Frau Merkel, mi riferisco ai paesi periferici del sud Europa), consentano minori tensioni sui prezzi di beni e servizi?

Detto ciò però sembrerebbe delinearsi uno scenario ideale per stimolare il potenziale consumatore a incrementare gli acquisti e alle aziende di ipotizzare investimenti futuri, visto l’aumento della domanda! Anche il tasso di occupazione dovrebbe prendere il volo, ma con quali salari? Appunto, perché non crescono i salari? Senza salari adeguati il potenziale consumatore si sente depotenziato nelle sue volontà d’acquisto (mi viene da pensare ai mini-jobs che hanno riscosso tanto successo in Germania). Che la tanto decantata flessibilità del mercato del lavoro abbia generato figure di precariato, poco propense ai consumi di beni e servizi, visto appunto il loro incerto orizzonte temporale d’impiego? Non vorrei che tali cambiamenti “epocali” (nuove tecnologie...ect), abbiano minato le fondamenta del vecchio concetto d’inflazione in maniera strutturale, a tal punto da doverci abituare ad un mondo con bassa inflazione! Direi che mi sono “ben incartato” e ridurre l’obbiettivo di inflazione da parte della Bce sarebbe come mascherare problemi strutturali, forse non ancora ben individuati e considerare il “malato” già guarito, quando invece sembrerebbe proprio di no!

Nello stesso tempo, rivedere un obbiettivo (inflazione al 2%) così tanto “sponsorizzato”, può anche danneggiare la prestigiosa credibilità della banca centrale, ma poterebbe anche essere interpretato come un segnale “psicologico” di uscita definitiva dal tunnel della madre di tutte le recessioni e fungere da propellente per alimentare un concetto di fiducia, strategico per risollevare consumi ed investimenti! I dubbi si accavallano... Certo che la Bce non potrà sostituire perpetuamente l’azione dei governi, di conseguenza sarebbe bene che i governanti del Vecchio continente tengano presente di ben preparasi ad un “passaggio di testimone” prossimo venturo. Il mandato dell’anticonformista Draghi è prossimo a scadere e a quel punto l’economia del Vecchio continente o vanterà numeri di prestigio o saranno dolori!
Gianluca Caldironi

Caro Caldironi,

in effetti il bersaglio del 2% di inflazione dovrebbe essere abbassato, dato che i determinanti dell’inflazione sono cambiati. Oggi alle categorie “inflazione da domanda” o “inflazione da costi” bisogna aggiungere “inflazione da vasi comunicanti”: la globalizzazione sta spingendo verso un livellamento dei livelli assoluti dei prezzi fra Paesi emergenti e Paesi emersi. Prodotti che sono costati un pugno di riso vengono a far parte dei panieri dei prezzi nei Paesi avanzati. Dal 1999 a oggi l’aumento dei prezzi (al consumo) nei Paesi avanzati è stato del 37%: nei Paesi emergenti del 205%. Finché questo processo di livellamento continua – e sta continuando, dato che nuovi Paesi emergenti a basso costo del lavoro si aggiungono ai vecchi emergenti – l’inflazione nei Paesi avanzati rimarrà bassa. E le Banche centrali dovrebbero essere meno esitanti nel “normalizzare” una politica monetaria che ha perso – per buoni motivi – la stella polare.

fgalimberti@yahoo.com

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