Commenti

Effetto Trump sulle banche Ue

  • Abbonati
  • Accedi
FALCHI E COLOMBE

Effetto Trump sulle banche Ue

Quale sarà l’effetto Trump sulle banche europee? Se è vero che il presidente americano potrà condizionare le scelte della banca centrale americana (Fed) sia nella politica monetaria che nella regolamentazione finanziaria, e che questi due canali creano un “fattore dollaro” che condiziona i mercati globali, le banche europee, nonché la nostra banca centrale (Bce) dovranno fare i conti con il fattore Usa.

L’anno che sta per arrivare rappresenterà l’inizio di un periodo inedito per l’economia monetaria e finanziaria mondiale, dal punto di vista della fisionomia della guida della Fed. Infatti il Presidente Trump potrebbe essere in grado nei fatti di nominare sei dei sette membri del comitato esecutivo della banca centrale, e il settimo – il presidente della sede di New York – sarà sostituito dal suo consiglio, anch’esso in principio non impermeabile ai desideri dell’amministrazione americana.

Questo “allineamento dei pianeti” è dal punto di vista istituzionale un evento cruciale per almeno due ragioni. In primo luogo, la Fed è molto condizionabile dalla politica; il disegno del suo mandato – non ha un obiettivo prioritario – e la natura del suo statuto – modificabile con una semplice legge – la rende molto vulnerabile alle pressioni della politica. In secondo luogo, la Fed è l’istituzione dominante sia per il disegno della politica monetaria che per quella della regolamentazione finanziaria.

Dunque è possibile che i desideri di Trump abbiano un doppio canale per raggiungere i propri obiettivi. Sotto questo aspetto il nuovo presidente designato della Fed – Jerome Powell – appare l’anello di trasmissione ideale, per almeno tre caratteristiche: è già stato membro del consiglio della Fed in questi anni, caratterizzandosi per un atteggiamento di completo allineamento alla politica di galleggiamento monetario – gradita sia ai politici che a Wall Street – che ha caratterizzato la Fed di Janet Yellen; è di dichiarata fede politica repubblicana; infine il suo è un curriculum professionale non accademico, quindi privo di una propria identità concettuale e teorica riconosciuta e credibile – come sarebbe stato invece nel caso il presidente prescelto della Fed fosse stato John Taylor.

A oggi, i desideri di Trump sulla politica monetaria non sono identificabili, mentre è molto chiaro il percorso di deregolamentazione che vuole imprimere, a vantaggio delle banche americane. Sarà un caso, ma le più recenti dichiarazioni del neo presidente designato Powell vanno esattamente in quella direzione. Che il presidente Trump voglia dire la sua su moneta e finanza appare confermato da quello che sta accadendo per il caos istituzionale relativo alla designazione del direttore della Autorità per la tutela dei consumatori finanziari, voluta dal presidente Obama: si contendono il posto, a colpi di carte bollate, due vice direttori, di cui uno solo gradito al Presidente.

Ma perché i destini della Fed e la direzione della sue politiche dovrebbero interessare le banche europee e la Bce? L’analisi economica tradizionale ci dice che, in presenza di flessibilità dei tassi di cambio e di perfetta mobilità dei capitali, la politica monetaria può essere gestita in modo indipendente. Tale principio – derivato dal cosiddetto trilemma di Mundell – è pero stato scosso da una serie di analisi empiriche che fotografano quello che è avvenuto negli ultimi tre decenni, vale a dire la comparsa di un “fattore dollaro” che condiziona i comportamenti delle banche e dei mercati globali.

Il dollaro è ancora la valuta mondiale per antonomasia, e quindi i debiti – bancari e finanziari – tendono a essere condizionati – direttamente o indirettamente – dalla dinamica della valuta americana. Ma se il “fattore dollaro” è rilevante, qual è il suo motore primo? Le stesse analisi empiriche suggeriscono che è la politica monetaria della Fed: le sue espansioni hanno gonfiato l’offerta di credito – e in generale di debito – mondiale, con tutto quello che ne è derivato – basti pensare alla Grande crisi dei Paesi avanzati – e ne può ancora derivare nei Paesi emergenti.

Aggiungiamo che il “fattore dollaro” potrebbe avere, oltre alla leva monetaria, anche una leva finanziaria, rappresentata appunto dalla deregolamentazione bancaria che la Fed di Trump potrebbe avviare. Sul piano empirico, la robustezza del “fattore dollaro” è ancora tutta da dimostrare. Ma solo l’eventualità della sua rilevanza non può che aumentare la prudenza che dovrà caratterizzare i futuri passi della Bce, sia nel versante monetario che in quello della politica di vigilanza bancaria.

© Riproduzione riservata