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All’economia della qualità può servire anche il Pil

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All’economia della qualità può servire anche il Pil

Caro Fabi,

negli anni scorsi era quasi diventato di moda criticare il Pil come misura della crescita di un Paese. Sono stati scritti libri, mi pare, sulla dittatura del Pil e sono state presentate analisi critiche sulla reale possibilità di misurare la ricchezza attraverso un numero e una percentuale. Da qualche tempo di questo problema non si parla. Anzi, i piccoli passi avanti che l’Italia ha compiuto quest’anno sono portati come dimostrazione di aver lasciato alle spalle la crisi con quello che ciò comporta. Può essere difficile elaborare una statistica alternativa al Pil, ma probabilmente sarebbe utile anche per poter giudicare gli effetti delle politiche economiche e la validità dei programmi dei partiti.

Italo Fedeli

Venezia

Gentile Fedeli,

il Pil, inteso come misura della realtà economica, ha tanti difetti, ma anche un pregio. È un dato sintetico, di immediata comprensione, che permette un facile paragone con gli altri Paesi. Certo non si può chiedere al Pil quello che il Pil non può dare. Resta il fatto, magari banale, che è un dato sicuramente positivo avere un Pil in crescita. L’esigenza peraltro almeno di affiancare al Pil altri indicatori non è stata comunque dimenticata. Tra pochi giorni, il 15 dicembre, l’Istat presenterà il quinto rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes), un rapporto che offre una sintesi dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali del Paese, attraverso l’analisi di un ampia panoramica di indicatori. È peraltro previsto che il Bes entri dalla porta principale nella valutazione delle politiche economiche dato che il ministro dell’Economia e delle finanze è tenuto nella preparazione della legge di bilancio a riportare l’andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile nel triennio precedente e a prevedere l’evoluzione degli stessi nel triennio successivo. L’intento è esplicitamente quello di andare “oltre il Pil”. I 130 indicatori del Bes sono articolati in 12 ambiti di osservazione: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi. Il rapporto 2017 conterrà anche nuovi indicatori come l’indice di disuguaglianza, l’eccesso di peso, l’abbandono scolastico, l’efficienza della giustizia civile, le emissioni di Co2, l’abusivismo edilizio. La panoramica sarà quindi ampia e permetterà anche di valutare l’andamento complessivo della società italiana sia nella prospettiva dell’andamento degli ultimi anni, sia nei confronti con gli altri paesi.

L’analisi economica ha comunque spesso tentato di andare anche oltre la misurazione della qualità per arrivare, sicuramente con un pizzico di ambizione, a misurare la felicità. Lo dimostra l’accattivante libro di Emanuele Felice (un nome che è già un programma) , “Storia economica della felicità” (Ed. Il Mulino, pagg. 360, € 16), un libro che offre una lunga cavalcata nella civiltà umana concludendo con un’osservazione positiva: la felicità può crescere solo parallelamente alla coscienza etica «e oggi – osserva Felice – possiamo vantare una coscienza etica migliore e più inclusiva, sotto molti aspetti, più sensibile ai diritti umani, rispetto a tutte le epoche precedenti». Anche perché la maggiore ricchezza, e quindi la crescita del Pil, impone anche maggiori doveri.

gianfranco.fabi@ilsole24ore.com

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