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Dossier | N. 57 articoli Mappamondo

La riforma fiscale per le imprese che punta ad accelerare la crescita

Ora che il pacchetto della riforma fiscale varata al Senato deve essere armonizzato con la versione già approvata dalla Camera, molti negli Stati Uniti e nel mondo si chiedono quale impatto avrà la normativa sull’economia americana. E soprattutto in che modo inciderà sulle prospettive di crescita a lungo termine del Paese. Per rispondere a questa domanda, vorrei focalizzare la mia attenzione su tre probabili cambiamenti relativi alla tassazione delle imprese.

Il primo riguarda la riduzione della principale aliquota fiscale sugli utili delle grandi società che passa da 35% al 20%. (le grandi società, diversamente dalle piccole aziende, vengono tassate separatamente dai proprietari). Il secondo riguarda la sostituzione dell’attuale sistema di ammortamenti per le nuove attrezzature con la deducibilità immediata del 100%. Il terzo, il periodo di ripresa per la maggior parte delle strutture aziendali non residenziali, come gli edifici a uso ufficio, deve essere ridotto da 39 a 25 anni.

Nella proposta di legge finale, la totale deducibilità delle attrezzature potrebbe scadere dopo cinque anni, anche se il Congresso potrebbe estendere tale disposizione. La mia analisi tratta i tre cambiamenti chiave nella tassazione per le imprese come permanente. Se invece le aziende considerassero la disposizione della deducibilità come temporanea, gli effetti sugli investimenti per le attrezzature sarebbero probabilmente accelerati per trarre vantaggio dal più favorevole trattamento offerto nell’arco di cinque anni.

Un duplice approccio
Mi avvalgo di due approcci complementari per stimare gli impatti sugli investimenti e sulla crescita economica. Il primo metodo parte dalla valutazione degli effetti degli emendamenti della legge fiscale sui costi (ossia sui costi degli utenti) che le aziende aggiungeranno agli investimenti per attrezzature e strutture. Poi procedo con una stima delle risposte a lungo termine del coefficiente capitale/lavoro rispetto ai cambiamenti nei costi degli utenti. Questo approccio è stato lanciato da Mervyn King, prima del suo incarico di governatore della Bank of England, e da Don Fullerton nel libro del 1984 The Taxation of Income from Capital: A Comparative Study of the United States, the United Kingdom, Sweden, and West Germany.

 Una volta compreso come cambia il coefficiente capitale/lavoro, è immediato valutare come cambia nel lungo termine il Pil pro capite reale (depurato dell’inflazione). Gli effetti a breve termine si possono dedurre dall’uso delle precedenti stime dei tassi di convergenza associate alla crescita economica. I risultati possono essere espressi come incrementi dei tassi medi di crescita del Pil pro capite reale nel periodo di dieci anni previsto dalla normativa.

 Il secondo approccio ricorre al quadro sviluppato nelle analisi empiriche dei fattori della crescita economica per un ampio numero di Paesi sotto osservazione dal 1960. (Una sintesi di questo approccio è reperibile in un documento che ho scritto nel giugno del 2015 dal titolo “Convergence and Modernization”). I dati sottostanti sono stati ampliati per includere informazioni sulle aliquote fiscali sugli utili delle imprese che risalgono al 1980 (questi dati provengono da un progetto condotto dall’American Enterprise Institute). I risultati empirici forniscono le stime degli effetti dei cambiamenti nelle aliquote della corporate tax sulla crescita del Pil pro capitale reale in intervalli di cinque anni. Questi risultati si rivelano essere in accordo con quelli ottenuti con il primo metodo.

 I costi degli utenti
Per l’approccio relativo ai costi per gli utenti, parto dal presupposto che le società scontino tutti i futuri flussi di cassa attesi in accordo con il tasso netto reale di rendimento atteso sul capitale. Per allinearsi all’elevato premio medio di mercato sotto osservazione (il divario di rendimenti tra stock e asset sicuri), questo tasso deve essere ben al di sopra del tasso medio di interesse reale privo di rischio, che ora si attesta all’incirca all’1% annuo. La mia analisi principale si avvale di un tasso reale atteso di rendimento sul capitale pari all’8% annuo (il tasso medio di lungo termine sugli stock negli Usa e in altri Paesi ricchi), ma consente un tasso del 6% in alternativa.

 Parto dal presupposto che il tasso reale atteso di rendimento sul capitale sia fisso nel lungo periodo, anche quando c’è una modifica nella tassazione delle imprese. Questa condizione rientra nel modello più famoso di crescita economica (il modello di crescita neoclassico per un’economia chiusa con un orizzonte di pianificazione infinito), dovuto al comportamento di risparmio delle famiglie. E il risultato funge da approssimazione anche nelle versioni modificate di questo modello. Per una piccola economia aperta (non gli Usa), le condizioni tengono anche nel breve periodo, data la disponibilità delle pratiche di prestito e credito estero.

La condizione chiave per gli investimenti delle aziende è il prodotto marginale del capitale – l’importo dell’output aggiuntivo per unità aggiuntiva di input di capitale. Questo prodotto marginale è equiparato al costo degli utenti, che coinvolge il tasso atteso di rendimento sul capitale e le caratteristiche del sistema fiscale. Un elemento chiave del costo degli utenti è l’effettivo tasso di deducibilità per attrezzature e strutture previsto dai sistemi esistenti e da quelli proposti sul fisco delle imprese. (Cfr. la nota tecnica alla fine di questo articolo per i dettagli).

 La tabella mostra la mia caratterizzazione del vecchio e del nuovo sistema di tassazione delle imprese con riferimento agli effettivi tassi di deducibilità per attrezzature e strutture. Questi calcoli partono dal presupposto che il fisco esistente preveda un ammortamento del saldo a declino doppio per le attrezzature di cinque o sette anni (ignorando il bonus ammortamento temporaneo attualmente in vigore).

Effetti dei cambiamenti proposti nella tassazione delle imprese   

I calcoli presuppongono un ammortamento diretto per strutture non residenziali in 39 anni in base alla legge attuale e in 25 anni secondo la nuova normativa. Parto dal presupposto che un terzo delle strutture sono finanziate da corporate bond, che il tasso di interesse nominale sui corporate bond è il 4% l’anno, e che il tasso di inflazione è il 2% l’anno (rilevante per la capitalizzazione delle deduzioni per ammortamenti e pagamenti degli interessi). Infine, mi focalizzo sul caso in cui il tasso reale di rendimento sul capitale sia l’8% l’anno.

 Per le attrezzature, la riforma fiscale abbassa il costo degli utenti del 12%. Per le strutture, la flessione è del 16%. A sorpresa, sebbene la totale deducibilità si applichi alle attrezzature nella nuova normativa, la diminuzione sproporzionata nei costi degli utenti è più ampia per le strutture, a causa della riduzione del periodo di recupero da 39 a 25 anni. I miei risultati sono compatibili con una lettera aperta che insieme ad altri otto economisti (Michael Boskin, John Cogan, Douglas Holtz-Eakin, Glenn Hubbard, Lawrence Lindsey, Harvey Rosen, George Shultz e John Taylor) ho scritto al Segretario al Tesoro Steven Mnuchin a fine novembre. Questa lettera stimava che i cambiamenti nel fisco per le imprese “avrebbero ridotto i costi degli utenti con una media del 15%”.

 Dal taglio dei costi degli utenti alla crescita
Convertire i cambiamenti dei costi degli utenti in cambiamenti di lungo periodo nei coefficienti capitale/lavoro richiede una stima di rilevante elasticità (la sensibilità del rapporto capitale/lavoro proporzionale al costo degli utenti). Le stime empiriche di queste elasticità, sintetizzate in un recente report del Consiglio Usa dei consulenti economici, non sono lontane dall’unitarietà. Mi concentro su un’elasticità di 1,25, che corrisponde a una funzione di produzione Cobb-Douglas (comunemente utilizzata dagli economisti) in cui le attrezzature e le strutture hanno ciascuna una percentuale di reddito del 20%. In questo caso, i cambiamenti fiscali aumentano i coefficienti di capitale/lavoro di lungo termine del 25% per strutture societarie non residenziali e del 17% per le attrezzature societarie. 

Se pensiamo grandi società uguale intera economia, i cambiamenti nei coefficienti di capitale/lavoro implicherebbero un aumento del Pil pro capite reale di lungo termine di circa 8,4%. Considerando che il complessivo settore societario (che include le piccole aziende) rappresentava solo il 56% del reddito nazionale nel 2016, gli effetti sul Pil a lungo termine sarebbero inferiori all’8,4%. Ma non di molto, perché i cambiamenti relativi all’ammortamento si applicano in generale alle imprese, e la normativa comprende anche i tagli alle aliquote fiscali sulle aziende pass-through, come le S-corporation e le partnership. Inoltre, il ridotto onere fiscale sulle grandi società indurrà un efficiente flusso di risorse verso questo settore, compresi i movimenti in uscita dall’edilizia residenziale e le conversioni delle aziende pass-through in C-corporation. 

Per ottenere delle stime sui tassi di crescita del Pil, ho effettuato un grossolano adeguamento verso il basso dell’effetto di livello di lungo termine da 8,4% a 7%. Ho quindi effettuato una stima della dinamica del Pil pro capite reale basata sulle stime dei tassi di convergenza – il tasso in cui un paese si adegua verso la sua posizione di lungo termine. Secondo le stime di una mia precedente ricerca, questo tasso di convergenza era il 2-3% l’anno. L’ex segretario al Tesoro Usa Lawrence H. Summers ha denominato la mia stima del 2% l’anno “la legge di ferro della convergenza”,  ma le stime più recenti sono prossime al 3%. 

I tassi di convergenza nel range del 2-3% l’anno si allineano comunque al sottostante modello di crescita neoclassico solo se si considera una prospettiva molto ampia del capitale, che includa in particolare il capitale umano, così che la percentuale di reddito del capitale sia il 75-80%. In questo caso a fronte di un lento calo di produttività del capitale i tassi di convergenza sono bassi. Questa configurazione non si applica ai cambiamenti proposti nella tassazione delle imprese, perché questi incidono sul capitale fisico ma non sul capitale umano. In questo contesto, si applica un concetto più ristretto di capitale, quindi il tasso di convergenza è più elevato. Se ad esempio si presuppone una percentuale di reddito del capitale del 40%, il tasso di convergenza nel modello di crescita neoclassico sarebbe attorno al 5% l’anno. 

Se applico un tasso di convergenza del 5% l’anno al cambiamento al 7% di lungo termine del Pil pro capite reale, il tasso di crescita aumenta nel breve periodo del 0,34% l’anno. Dopo dieci anni, il livello di Pil pro capite reale cresce del 2,8%, il che implica che il tasso medio di crescita è superiore dello 0,28% l’anno in un arco di tempo di dieci anni. 

Analisi di crescita tra paesi
Come accennato in precedenza, il mio secondo approccio consiste nell’inserire l’aliquota fiscale per gli utili delle aziende in un’analisi di crescita tra Paesi. I dati disponibili si riferiscono alla massima aliquota fiscale marginale sulle società e non forniscono alcuna informazione sull’effettiva deducibilità nella struttura fiscale.

Come sempre avviene in questo tipo di analisi, il punto è mantenere costanti altri fattori di crescita economica e trattare la causalità opposta dai risultati economici alla struttura fiscale. (Quest’ultima considerazione suggerisce che l’effetto stimato sminuirebbe la portata del vero impatto dell’aliquota fiscale sulla crescita economica). Ma questa procedura implica anche importanti vantaggi – ad esempio, ci sono 500 punti dati sui tassi di crescita medi a cinque anni del Pil pro capite reale, e non occorre fare molte ipotesi di modeling, come richiesto dal quadro costi degli utenti. 

Il risultato di un modello di regressione tra Paesi per spiegare i tassi di crescita del Pil pro capite su una media di cinque anni è un coefficiente negativo sull’aliquota fiscale delle imprese. In altre parole, una maggiore aliquota fiscale significa minore crescita economica. Tuttavia, il valore stimato ha un alto errore standard ed è statisticamente significante solo a un valore critico del 15%. La stima puntuale implica che un taglio dell’aliquota fiscale delle aziende di 15 punti percentuali (come nella normativa Usa in sospeso) aumenterebbe il tasso di crescita del Pil pro capite reale su un intervallo di cinque anni di circa 0,4% l’anno. Il punto interessante è che tale risultato si allinea ai risultati dell’approccio costi degli utenti. L’analisi tra Paesi supporta quindi la ragionevolezza delle risultanze dei costi degli utenti. 

In definitiva i cambiamenti fiscali societari in sospeso produrrebbero nel lungo periodo un ampio incremento del Pil pro capite reale – di circa 7%. Il conseguente rialzo dei tassi di crescita in un orizzonte di dieci anni sarebbe all’incirca 0,3% l’anno.

- Nota tecnica


(*) Robert J. Barro è professore di economia all'Università di Harvard e visiting scholar dell'American Enterprise Institute.

Copyright: Project Syndicate, 2017.
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