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Se il mare affoga nella plastica asiatica

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AMBIENTE

Se il mare affoga nella plastica asiatica

Plastica in mare. La foto di Justin Hofman premiata al Wildlife Photographer of the Year 2017
Plastica in mare. La foto di Justin Hofman premiata al Wildlife Photographer of the Year 2017

Atto primo. Manila. Dalla vecchia discarica abbandonata che divide dal mare il boulevard Honorio Lopez ogni giorno l’oceano porta via 1.500 tonnellate di spazzatura; quella più pesante affonda davanti alla spiaggia e quella più leggera naviga, spinta dai venti e dalle correnti, fino alla grande isola di plastica, il Plastic Vortex in mezzo al Pacifico.

Atto secondo. Maldive. Solamente un terzo della spazzatura prodotta dal milione di turisti abbronzati che si divertono sulle mille isole riesce ad arrivare nella discarica frontemare di Thilafushi, a 7 chilometri dall’isola del capoluogo Malé. Gli altri due terzi della spazzatura sono dati brevi manu a battelli privati che, come ogni mafia dell’immondizia, rovesciano la sporcizia al largo. I rifiuti pesanti (come vetro e metalli) sprofondano nell’oceano. Quelli leggeri si radunano nel Plastic Vortex.

Afferma un rapporto di Ocean Conservancy, il 60% delle plastiche che galleggiano nei mari del mondo è prodotto da cinque Paesi: Cina, Indonesia, Filippine, Thailandia e Vietnam. Nicholas Mallos di Ocean Conservancy stima che con questa velocità fra pochi anni, nel 2025, negli oceani ci sarà una tonnellata di immondizia ogni tre di pesce.

E il Mediterraneo? L’Italia? I ricercatori belgi di Arcadis hanno condotto uno studio per conto della Commissione Ue («Marine Litter study to support the establishment of an initial quantitative headline reduction target») e hanno scoperto diverse cose sul Mediterraneo: il nostro mare, sebbene sporco, ha la fortuna di essere pochissimo popolato su una sponda e di avere Paesi fortissimi riciclatori sull’altra; che gran parte dei rifiuti sulle spiagge non arrivano da lontano ma sono prodotti direttamente sull’arenile dai turisti. Il peggior insozzatore del Mediterraneo pare la Turchia: popolatissimo come quelli dell’Europa (molto) ma riciclatore come quelli dell’Asia (poco).

Aggiunge uno studio condotto dall’Ispra analizzando i residui sulle spiagge italiane: attenzione, nella rena sono tornati a nascondersi i bastoncini nettaorecchie, 100 milioni sulle coste, bastoncini che fino a pochi anni fa per legge erano biodegradabili mentre oggi sono anche di materiale plastico ordinario. Ma presto, icome ha deciso il Parlamento, i bastoncini spariranno dalle spiagge.
I consumi dell’Asia
Un primo motivo della comparsa dei rifiuti nei mari è il fatto che miliardi di asiatici ormai consumano come gli europei. Consumano ma non riciclano, è smaltito correttamente appena il 40% della spazzatura, così sulle onde viaggiano a tonnellate le lattine di bevande gassate, gli involucri di merendine e barrette, le ciabatte spaiate, i pacchetti schiacciati di sigarette.

Dice la Fao, l’organizzazione dell’Onu sull’alimentazione: il 37% di tutti gli imballaggi alimentari è fatto con la plastica. Un materiale perfetto per conservare gli alimenti perché è leggero, infrangibile e non degrada: caratteristiche insostituibili che diventano terribili quando la vaschetta di polistirolo, la bottiglia di Pet, il flacone di polietilene o la cassetta di polipropilene seguono la corrente. In teoria, dicono i pessimisti, servono 500 anni per decomporsi. In realtà le plastiche (anche quelle biodegradabili) impiegano alcuni anni a sparire se sono sottili e fragili come le pellicole dei sacchetti, ma molti decenni se sono più consistenti. Il mare, freddo e salato, non rende facile la degradazione dei materiali.
I mari europei
Secondo lo studio dell’Arcadis per la Commissione di Bruxelles, nel Mediterraneo (701 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia) si trovano soprattutto vaschette per alimenti e stoviglie di plastica (17%), filtri di sigaretta (14%) alla pari di tappi (14%). Il 5% sono i sacchetti della spesa, il 5% i bastoncini per le orecchie, il 4% frammenti minuscoli di plastica. Diversa la sporcizia negli altri mari: nel Baltico sono in testa i pezzi di plastica generica (24%) e filtri di sigaretta, nel Mar Nero spiccano i filtri di sigaretta (36%) e le confezioni di patatine o dolciumi alla pari con le bottiglie di bevande, nel Mare del Nord il 32% è formato da pezzi indistinti di plastica e polistirolo.
I turisti sporcano il Mediterraneo
L’analisi di Arcadis sulle spiagge del Mediterraneo dice che la plastica è la spazzatura dominante (63%) perché galleggia e non sparisce dalla vista, seguita da carta e cartone comprese le cicche di sigaretta (22%), rifiuti sanitari (7%) e vetro (4%). Il 67% sono imballaggi. Ma solamente il 13% della spazzatura nella sabbia viene da lontano: la prima causa di lordura è data da bagnanti e turisti (52%), e il 53% dei rifiuti è generato direttamente sulla spiaggia. Cordami, reti, cassette di polistirolo per pesce e galleggianti lasciati dai pescherecci e dalle altre attività del mare sono il 14% dei rifiuti.

I rifiuti domestici sono l’11%, gli scarti di gabinetto (come i bastoncini nettaorecchie) il 6%, le discariche il 4%. Quasi tutti i rifiuti trovati in spiaggia (il 70%) sono generati dalla fase di consumo dei prodotti, e il 91% da singole persone (il 3% dalle attività economiche).
Cento milioni di bastoncini
Stringiamo ancora il campo di visione: le spiagge italiane nell’indagine condotta dall’Enea con la Legambiente. Ed emerge che le spiagge italiane sono lordate da cento milioni di bastoncini per orecchie. Quei bastoncini di poliestere non vanno chiamati cotton fioc perché il cotton fioc è un marchio registrato dalla Johnson per un prodotto del tutto biodegradabile di cotone, non di plastica indistruttibile. Sulle spiagge italiane l’80% dei residui è la leggera e resistente plastica e il 46% è microplastica, cioè frammenti, granellini, briciole e appunto i bastoncini azzurrini per le orecchie.
Le microplastiche
Le più temute sono le microplastiche. E la maggior parte di queste particelle arrivano dalle polveri dello sfregamento degli pneumatici, dilavate dalle piogge e portate dai corsi d’acqua fino al mare, dal lavaggio di vestiti e prodotti tessili, e dalle vernici delle navi. Insieme ai bastoncini per orecchie e ai granelli delle creme esfolianti, tutta questa plastica supera le griglie dei depuratori e arriva in bocca ai pesci.
Riciclare
«Le plastiche al mare non arrivano da sole», osserva Antonello Ciotti, presidente del consorzio di riciclo della plastica Corepla. Con un milione di tonnellate raccolte, contrariamente ai luoghi comuni autolesionistici l’Italia è un’eccellenza europea copiata perfino dai Paesi nordici. «Il riciclo è la soluzione per evitare che le plastiche finiscano in acqua. Ma il comportamento delle persone è fondamentale, indipendentemente dal materiale dei rifiuti».

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