Come ingegnere ho sempre considerato importante la formazione tecnico matematica per svolgere il lavoro organizzativo. Anche oggi, in una realtà di intermediazione finanziaria, considero auspicabile il progressivo affermarsi di un approccio razionale a cui riferirsi per costruire modelli decisionali basati sulla razionalità. Di fatto non è che la situazione di incertezza in cui viviamo abbia rimosso metodi come la programmazione lineare, l’ottimizzazione produttiva, la teoria e sviluppo dei modelli, l’analisi statistica del rischio e tutte quelle forme di matematica applicata che si devono usare e conoscere nelle imprese. Tuttavia rimango fedele a un’affermazione maturata anni fa: lo scopo dei modelli non è risolvere le questioni organizzative, ma rendere più precise le domande per risolverle.
Forse la domanda da porsi è la seguente: il decisore economico, e quindi il manager, è un decisore razionale?
Non credo che il pensiero dominante di oggi, che considera l’irrazionale e l’imprevedibile più importanti, comporti una messa in solaio di tutti questi strumenti, ma, di nuovo, deve considerarli come il modo per fare le giuste domande.
Rimane comunque il fatto che è sicuramente sotto pressione il metodo manageriale classico, quello delle procedure, delle gerarchie, dei regolamenti, dei tempi e metodi in fabbrica, delle organizzazioni manageriali piramidali e gerarchiche, del comando e controllo.
Nell’ambito della pubblicistica manageriale sono stati presentati, durante la crisi economica in particolare, diversi studi sul tema del caos, dell’incertezza, dei comportamenti dei decisori e dell’impatto sulle organizzazioni, con interessanti incroci con neuroscienze, fisica sociale, modellistica matematica.
Il libro che ha cambiato il modo di pensare di alcuni di noi negli anni della crisi è stato “Il Cigno nero” di Nassim Nicholas Taleb.
«Il modello del comportamento razionale in caso di incertezza non solo è grossolanamente impreciso, ma è anche del tutto sbagliato come descrizione della realtà», dice Taleb.
Il premio Nobel a Richard Thaler ha acceso un dibattito interessante su questi temi. A corredo di alcuni articoli talvolta si vede la rappresentazione del cervello umano e i relativi luoghi dove si prendono le decisioni: corteccia cingolata anteriore (meccanismo di selezione), corteccia orbitofrontale (meccanismo di valutazione), gangli della base, amigdala(meccanismo di ricompensa). È un tentativo di spiegare razionalmente il comportamento irrazionale delle persone?
Edoardo Boncinelli ci ricorda che le neuroscienze sono diventate così importanti per tre ragioni: la psicologia sperimentale, la biologia del cervello, la disponibilità di macchine che ci permettono di vedere dentro il cervello.
Un progresso scientifico davvero affascinante, forse però è presto per utilizzarlo sic et simpliciter nei processi organizzativi.
Dan Ariely, in un libro intitolato “Prevedibilmente irrazionale” ci illustra una serie di esperimenti su comportamenti umani attraverso i quali comprendiamo i modi nei quali manifestiamo la nostra irrazionalità. Non solo: il nostro essere irrazionali si manifesta in modo prevedibile, aprendo così una prospettiva a studi detti appunto di economia comportamentale. Il punto di partenza è il limite della conoscenza umana e la sua vulnerabilità. Si distruggono dei tabù. La domanda, ad esempio, non è una forza completamente separata dall’offerta, ma l’”ancoraggio” avviene tramite altri mezzi come i prezzi consigliati dal produttore, i prezzi pubblicizzati, le promozioni, i prezzi di lancio, tutte variabili di “framing” sul lato dell’offerta.
Le cosiddette “euristiche” ad esempio comportano come conseguenza delle tendenze a “peccare”, managerialmente parlando: egocentrismo, arroganza, familismo, invidia, avidità, ignavia, miopia e vendetta sono forme legate a una percezione sbagliata della realtà che esplode in tempi di incertezza e di crisi. Compito di una buona governance e di un buon consiglio d’amministrazione è individuare questi fenomeni e correggerli, per quanto possibile.
Bene ha fatto dunque la Banca centrale olandese a inviare psicologi nelle riunioni dei consigli d’amministrazione per aggiungere la supervisione al comportamento e alla cultura dei consigli ai suoi doveri istituzionali.
I comportamenti individuali dei manager e dei membri di un consiglio d’amministrazione sono da collocare nelle organizzazioni. I disegni organizzativi tradizionali, da quelli gerarchici a quelli più sofisticati, stanno segnando il passo. Le tecnologie legate alla condivisone delle informazioni sconvolgono gli stessi disegni, mostrando interconnessioni diverse rispetto a quelle che ci si potrebbe aspettare.
Tra le diverse chiavi di lettura sulla parte organizzativa, ricordo il contributo di Mark Buchanan. L’idea è che c’è un’universalità dei fenomeni, nella natura e nella società, che vanno analizzati con la curva della potenza, cioè con magnitudo in ascissa e frequenza in ordinata. La curva descrittiva è un’iperbole (e non la campana gaussiana), che ci dice che con piccoli cambiamenti in una variabile ci possono essere dei veri e propri sconvolgimenti nella variabile collegata. Così i processi che generano valanghe, terremoti e incendi boschivi hanno qualcosa di simile agli andamenti di borsa, alla formazione di traffico, all’andamento dei consumi, alle cosiddette “cascate informative”. La fisica dei sistemi complessi ci dice che in fasi di non equilibrio o di equilibrio instabile i sistemi si organizzano spontaneamente in modo simile.
Le strutture organizzative devono affrontare queste situazioni con approccio sistemico e non su singole variabili; avere esperti da mondi complementari; sapere interpretare la curva di potenza per descrivere i fenomeni; avere una giusta dimensione del tempo, in genere lunga; non assumere la stabilità come riferimento; vivere lo stato critico senza pretesa di previsione.
Una spinta gentile anche per i manager.
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