La Camera e il Senato Usa hanno entrambi dato il via libera ai pacchetti fiscali che consentirebbero di tagliare l’imposta sul reddito d’impresa da 35% a 20%, di dedurre attrezzature e strutture aziendali più rapidamente e compiere numerosi altri cambiamenti nella tassazione sia per le persone fisiche che per le imprese. Le stime ufficiali dei disegni di legge, portati avanti dalla Commissione bipartisan sulla tassazione (JCT), nominata dai repubblicani, giungono alla conclusione che i disegni di legge aumenterebbero il livello di output nel lungo periodo di meno dell’1% – con conseguente incentivo alla crescita pari all’incirca allo 0,1 punto percentuale l’anno nel primo decennio. Numerose altre analisi che si avvalgono di modelli consolidati hanno riscontrato in modo analogo modesti effetti di crescita.
Il nostro collega e amico di Harvard Robert Barro non condivide. Ha recentemente firmato una lettera insieme ad altri otto economisti conservatori in cui dichiarano che i tagli fiscali aumenterebbero il livello di output del 3% nel lungo periodo. E aggiungono che «l’aumento del livello del Pil nel lungo periodo sarebbe appena sopra il 3%, o 0,3% l’anno per un decennio», una stima che il Dipartimento del Tesoro Usa ha ricordato per giustificare la sua dichiarazione secondo cui il feedback dinamico coprirebbe gran parte del costo dei tagli fiscali.
In risposta alla nostra elencazione dei numerosi punti deboli di questa lettera, compreso il grave uso improprio della letteratura accademica, gli autori hanno rifiutato la dichiarazione secondo cui il tasso di crescita annuo crescerebbe di 0,3 punti percentuali e si sono rifiutati di difendere anche molte altre ipotesi. In particolare, l’allora capo economista della Organization for Economic Cooperation and Development dice la sua a sostegno della nostra visione secondo cui gli autori avrebbero usato impropriamente uno studio Ocse, uno dei soli tre studi da loro citati per giungere alle loro conclusioni.
Ora Barro ha fornito a Project Syndicate un’analisi che utilizza le sue stime per giungere alla conclusione che il livello di output nel lungo periodo aumenterebbe del 7%. Ritiene che, ipotizzando una convergenza economica verso una condizione costante del 5% l’anno nel lungo termine, ciò significherebbe un incremento di 0,3 punti percentuali aggiuntivi nel tasso di crescita annuo.
Ma anche con il tasso di crescita di Barro, il feedback dinamico non paga il taglio fiscale. (In base alle sue ipotesi di convergenza, l’incremento di output del 3% nella sua precedente lettera di gruppo si tradurrebbe in un incremento di 0,1 punti percentuali nel tasso di crescita annuo nel prossimo decennio. Come abbiamo sostenuto nella nostra risposta a quella lettera, questo dato spiega anche i tassi di crescita annua implicati dai documenti citati da Barro e dai suoi co-firmatari).
Scorretta applicazione di un modello sensibile
Prendiamo atto dei calcoli espliciti di Barro e crediamo nell’utilità del tipo di schema che utilizza. Sfortunatamente commette
degli errori nell’applicare il modeling alle attuali disposizioni fiscali e nello scegliere i parametri che falsano sostanzialmente
le sue conclusioni al rialzo. In base alle rettifiche che abbiamo apportato ai suoi calcoli, crediamo che il metodo di Barro,
correttamente applicato, produrrebbe un incremento nell’ordine dell’1% del Pil di lungo termine. Ciò comporterebbe un aumento
di 0,05 punti percentuali nel tasso di crescita annuo, seguendo l’ipotesi di convergenza di Barro. Il fatto che questa conclusione
sia simile a quella della JCT non dovrebbe sorprendere, perché la JCT incorpora già gran parte delle relazioni economiche
oggetto del modeling di Barro, ma applica correttamente il modeling alle attuali disposizioni fiscali e agli adeguati parametri economici.
La tabella che segue sintetizza gli aggiustamenti apportati ai numeri di Barro, riconoscendo come molti siano – come le sue stesse stime – basati su congetture plausibili, e non su dati concreti. Si potrebbero fare una serie di altri aggiustamenti, parte dei quali spingerebbero ulteriormente al ribasso la sua stima.
Percentuale aggiustamento | Livello di output di lungo periodo | |
---|---|---|
Stima Barro | - | 7% |
Incremento del tasso di crescita annuo nel primo decennio | - | 0,3 pp |
Allineamento del modeling alle disposizioni in scadenza | -12% | -0,9 pp |
Correzione dell’applicazione troppo estesa delle disposizioni sulle strutture | -7% | -0,5 pp |
Inclusione degli effetti economici degli aumenti fiscali lordi nel disegno di legge | -18% | -1,5 pp |
Aggiustamento per riflettere la percentuale di C corporation nell’economia | -25% | -1,1 pp |
Utilizzo dell’elasticità di capitale del CEA report citato da Barro | -20% | -0,6 pp |
Aggiustamento per esclusione, prestiti esteri, e risparmi maggiori | -50% | -1,3 pp |
Stima rivista | -82% | 1,30% |
Incremento tasso di crescita annua nel primo decennio | - | 0,05 pp |
Nota: gli aggiustamenti percentuali dimostrano ciascuna disposizione singolarmente, a causa delle interazioni che non possono essere sintetizzate. I cambiamenti del livello di output di lungo periodo incorporano le interazioni relative agli aggiustamenti elencati nella tabella. Il dettaglio non si somma al totale per l'arrotondamento.
Modeling del piano fiscale
Il primo problema chiave dell’analisi di Barro è che fa le ipotesi meno favorevoli sulla normativa corrente e le più favorevoli
sulla politica futura. Dal 2007 le aziende possono dedurre immediatamente almeno il 50% del costo di acquisto dei beni strumentali,
sebbene tale agevolazione sia prossima alla scadenza. Con le proposte di legge della Camera e del Senato, le aziende potrebbero
dedurre il 100% delle spese in investimenti fissi immediatamente per i prossimi cinque anni.
La cosa strana è che Barro non solo ipotizza che, in assenza di legislazione, il bonus ammortamento al 50% sarebbe scaduto, ma anche che il bonus ammortamento proposto al 100%, che è temporaneo nei pacchetti fiscali proposti, sarebbe stato mantenuto indefinitamente. Ma bisognerebbe ipotizzare che o sono entrambi permanenti oppure non lo è nessuno dei due. In entrambi i casi, il costo di capitale per le attrezzature a carico degli utenti scenderebbe del 6%, e non del 12% come stimato da Barro. Utilizzando la percentuale di attrezzature nel capitale totale, ciò farebbe scendere la riduzione del costo utenti di Barro e le corrispondenti stime di crescita del 12%.
Il secondo problema con l’analisi di Barro è che erroneamente sottopone a modeling l’ammortamento accelerato delle strutture, e ipotizza che si applichi a tutte le strutture. Il pacchetto varato dal Senato includeva una disposizione che avrebbe accelerato l’ammortamento di alcune strutture da 39 a 25 anni. Barro stima che questa disposizione da sola, che costa lo 0,01% del Pil nel decimo anno, rilancerebbe l’output dell’1,3% – uno straordinario moltiplicatore ben oltre 100.
Questo dato impressionante in parte riflette la mancata considerazione da parte di Barro del fatto che, mentre la disposizione dell’ammortamento accelerato si applica a molte tipologie di strutture (ad esempio, edifici ad uso ufficio e ospedali), molte altre tipologie di strutture già beneficiano dell’ammortamento sostanzialmente più accelerato. Di conseguenza, ristoranti, impianti energetici, strutture estrattive, fattorie, reti idriche e parchi divertimento, ad esempio, non avrebbero i requisiti per questa disposizione. Inoltre gran parte di questi investimenti in strutture ha una forte leva finanziaria, e quindi ha già un’aliquota fiscale effettiva molto bassa. Un’applicazione conservativa di tutti questi aggiustamenti ridurrebbe la porzione della stima delle strutture di Barro dovuta alla ripresa dei costi accelerati di tre quarti, riducendo la sua complessiva stima di crescita del 7%, dopo aver preso in considerazione le interazioni con la riduzione dell’aliquota.
Siamo anche del parere – ma non abbiamo inserito questo elemento in questi aggiustamenti – che i futuri ammortamenti siano come obbligazioni e dovrebbero essere scontati a un tasso più basso. Apportare questo aggiustamento abbasserebbe l’aliquota fiscale marginale con la normativa vigente e quindi attenuerebbe gran parte della riduzione dell’aliquota marginale attribuita alla normativa. Questo aggiustamento si applicherebbe alle attrezzature e soprattutto alle strutture.
Terzo: Barro ipotizza uno slancio della crescita derivante dai tagli fiscali lordi previsti dal pacchetto fiscale, ma non considera gli incrementi fiscali lordi. Come già rammentato, ipotizza che una sola disposizione, che costa lo 0,01% del Pil, rilanci il livello di output dell’1%. Ma l’analisi di Barro ignora disposizioni come quella che riduce i riporti all’indietro (“carry back”) delle perdite operative nette, un’altra che elimina la capacità delle imprese di dedurre costi destinati alla ricerca e allo sviluppo, e un’altra ancora che revochi una deduzione fiscale per il manifatturiero. Insieme ad altre disposizioni, questi cambiamenti, secondo la JCT, ammontano allo 0,5% del Pil.
In termini economici, Barro li sta trattando come imposte forfettarie che non incidono sul comportamento. Di fatto, incrementerebbero le aliquote fiscali marginali su R&D, assunzione dei rischi e manifatturiero (rispetto alle stime che sta utilizzando Barro). Ipotizzando in modo conservativo che queste disposizioni siano soggette a modeling con un impatto dimezzato, dollaro per dollaro, come la riduzione dell’aliquota obbligatoria, ciò controbilancerebbe il 18% della stima di crescita di Barro.
Quarto, in riferimento allo stock di capitale, Barro ipotizza che le C corporation rappresentino la maggioranza, soprattutto stock di capitale a lungo termine. Pur in mancanza di una nostra stima, crediamo che il suo dato sia troppo alto per tre ragioni. La prima: le C corporation rappresentano solo circa il 40% del reddito totale delle imprese. La seconda: le C corporation tendono ad avere asset di minor durata rispetto alle società pass-through, il che significa che trarrebbero meno beneficio da questi cambiamenti fiscali. E la terza: poiché le aziende più piccole beneficiano già della deducibilità, non potrebbero contare sugli ammortamenti accelerati. Detto questo, presumiamo che il settore corporate sia la metà della stima di Barro, ma sbagliando ancora una volta sul fronte del conservatorismo, riduciamo la sua stima solo del 25%.
Il quinto problema con la valutazione di Barro è che, diversamente da altre analisi di impatto dei cambiamenti fiscali proposti, si avvale di parametri che sono superiori alla letteratura che cita. Ipotizza che l’elasticità di capitale in riferimento al costo degli utenti sia 1,25 – ossia, una riduzione del costo di capitale degli utenti si traduce in un incremento percentuale dello stock di capitale che è 1,25 volte maggiore.
Barro giustifica questa stima citando una recente indagine di letteratura condotta dal Consiglio dei consulenti economici (CEA). Ma il CEA citava nove stime, di cui otto al di sotto dell’1,25 (la nona era per un’economia aperta piccola). Secondo il CEA, “il consenso emergente della letteratura accademica pone l’elasticità costi-utenti degli investimenti a -1,0”. Utilizzare ciò che il CEA descrive come il “consenso emergente” abbasserebbe le stime di Barro del 20%.
Infine l’ultimo problema è che Barro ipotizza che lo stock di attrezzature e strutture aumenti del 15%, ossia di circa 3mila miliardi di dollari, ma ignora il fatto che il capitale aggiuntivo debba arrivare da qualche altra parate – da altri settori, dall’estero o dai consumi. Se arriva dagli stranieri, come conseguirebbe dall’ipotesi che gli Stati Uniti siano una piccola economia aperta, allora dovremmo ripagare quegli stranieri con un rendimento sui loro investimenti. Questo rendimento sarebbe sottratto dal prodotto nazionale lordo (Pnl) o dal reddito nazionale. Se i fondi derivano da fonti domestiche, potrebbero essere sottratti ad altri settori che non affronteranno la stessa riduzione sulla tassazione dei capitali, come l’immobiliare. L’economia potrebbe ancora beneficiare di maggiori investimenti corporate e di meno investimenti residenziali, ma le stime che includono il primo ma ignorano il secondo sopravvalutano enormemente l’impatto totale.
Prendendo tutti questi aggiustamenti in considerazione, crediamo che una ragionevole analisi dimezzerebbe la stima di Barro in merito all’impatto del pacchetto fiscale sulla crescita Usa. Le sue stime di crescita resterebbero inalterate se i finanziamenti aggiuntivi per l’accumulo di capitali derivassero da un calo dei consumi; ma ciò significherebbe che il benessere delle persone è cresciuto più lentamente dell’economia stessa.
Altre obiezioni
Questi aggiustamenti non comprendono tutti i dubbi che nutriamo sull’analisi di Barro. In particolare, accettiamo la sua traduzione
dello stock di capitale in crescita aggiuntiva, anche se sembra essere inverosimilmente elevata (forse moltiplicata per due
o più). Barro stima che lo stock di attrezzature e strutture nel lungo termine aumenti del 18,75%. Nel 2016, lo stock totale di attrezzature e strutture era 20 trilioni di dollari, o 107% del Pil. Ipotizza quindi che un incremento di attrezzature e strutture pari a 20 punti
percentuali del Pil (18,75% moltiplicato per 1,07) potrebbe produrre il 7% di output in più l’anno. Si tratta di un notevole
rendimento al 35%, anche prima dell’aggiustamento delle dimensioni limitate del settore C corporation o di molte altre questioni
discusse prima.
Un’altra profonda lacuna dell’analisi di Barro è che si focalizza interamente sulle imprese oggetto del pacchetto fiscale. La JCT ha stimato un incremento modesto dei livelli di output nel prossimo decennio associato alle disposizioni relative alle persone fisiche. Questa stima potrebbe essere aggiunta al totale di Barro per una valutazione completa dell’impatto dei cambiamenti fiscali proposti sulla crescita.
D’altro canto, l’analisi di Barro non riflette gli effetti economici negativi derivanti dall’aumento dei deficit budgetari, dalla maggiore protezione, dalle aliquote fiscali marginali per alcune aziende pass-through in eccesso del 100% e da nuove fonti di complessità. Ciò detto, il nostro giudizio è che quando vengono considerati tutti questi effetti, il Pnl di lungo termine plausibilmente calerebbe, e non crescerebbe, se il pacchetto fiscale entrasse in vigore e le sue principali disposizioni divenissero permanenti.
Siamo d’accordo con il suggerimento di Barro che l’impatto a dieci anni di un cambiamento dell’imposta d’impresa sia tra un terzo e la metà dell’impatto a lungo termine. Pertanto, anche se le nostre stime sono troppo basse secondo un fattore di 2-3, l’impatto della legislazione è nel range delle stime previste dalla JCT.
Un approccio migliore
Barro è un economista serio e attento. Il fatto che le sue stime siano lontane di quasi un ordine di grandezza riflette quanto
sia difficile per qualsiasi singolo economista, a prescindere da quanto sia brillante, utilizzare calcoli approssimativi per
stimare gli effetti di una normativa estremamente complicata. Non stiamo dicendo che chiunque dovrebbe utilizzare i nostri
aggiustamenti ai numeri di Barro. Dopo tutto, le nostre stime contengono molte congetture e semplificazioni che non possono
sostituirsi a un’analisi completa. Le offriamo a supporto di una visione più ampia: in generale dovremmo affidarci alle stime
delle agenzie ufficiali, che prendono già in considerazione tutti gli effetti dei costi utenti che Barro incorpora nella sua
analisi, ma che applicano anche correttamente quegli effetti ai rispettivi settori economici e attuano attentamente il modeling
alle loro interazioni con altre parti del pacchetto fiscale.
Invece di essere utilizzati per giustificare questo pacchetto fiscale, gli spunti di Barro avrebbero potuto aiutare a realizzare un pacchetto fiscale migliore, che avrebbe potuto includere una deducibilità permanente invece che temporanea, applicata alle strutture così come alle attrezzature, e ridurre l’aliquota d’imposta obbligatoria di un margine minore.
(*) Jason Furman, professore di pratica di politica economica alla Harvard Kennedy School e senior fellow del Peterson Institute for International Economics, è stato a capo del Consiglio dei consulenti economici durante la presidenza di Barack Obama dal 2013 al 2017. Lawrence H. Summers è stato segretario al Tesoro Usa (1999-2001), direttore del Consiglio economico nazionale Usa (2009-2010) e presidente dell’Università di Harvard (2001-2006), dove attualmente lavora come professore universitario.
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