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Sui conti pubblici serve un dibattito con ricette serie, non vie di fuga

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L'Analisi|l’analisi

Sui conti pubblici serve un dibattito con ricette serie, non vie di fuga

Non devono ingannare i numeri delle emissioni di titoli e della raccolta attesa che il Tesoro, sul fronte del debito, ha programmato per il 2018, più leggeri di quelli del 2017. Qualche politico impegnato in campagna elettorale e poco propenso a guardare in faccia i vincoli della politica economica potrebbe darne una lettura superficiale e pretestuosa, che vada oltre i dati tecnici e congiunturali. Il debito resta il fardello più pesante che l’Italia si porta dietro e anche il più rischioso, in un anno elettorale. Un anno su cui peserà anche il graduale alleggerimento del QE messo in campo dalla Bce.

Rispetto a questo tema, finora completamente rimosso dalla campagna elettorale, è giusto invece chiedere una forte assunzione di responsabilità ai partiti su due fronti, almeno. Il primo fronte nasce dal monito del presidente Mattarella quando chiede proposte elettorali «realistiche e concrete»: l’intento primario è probabilmente quello di frenare la brutta corsa già avviata a chi la spara più grossa, ma subito dopo c’è il richiamo a una responsabilità in positivo, a indicare cioè soluzioni per i problemi principali. Il Capo dello Stato dice di non voler entrare nel merito e si limita a ricordare l’emergenza sociale del lavoro. Ma è anche legittimo chiedere ai partiti – e noi lo faremo a più riprese – come vogliano alleggerire il vincolo del debito pubblico. Rinviare alla richiesta di nuova flessibilità europea, contestare il Fiscal compact e il trattato di Maastricht, proporre un deficit al 3% per tutta la legislatura (per non parlare dell’uscita dall’euro) sono altre vie di fuga e non proposte realistiche. Anzitutto perché accelererebbero la strada verso la procedura di infrazione Ue; in secondo luogo perché non contribuirebbero a ridurre il debito ma lo accrescerebbero. Anche dire che ci penserà la maggiore crescita a ridurre il rapporto debito/Pil è un modo per non affrontare la questione. Dai partiti dovrebbero arrivare proposte serie come un piano coerente e dettagliato di privatizzazioni o un target minimo di saldo primario da centrare nel corso della prossima legislatura. Questo sarebbe un modo serio di affrontare il tema. Per ora nessuno lo ha fatto.

Il secondo fronte del richiamo alla responsabilità dei partiti tocca, più in generale, le modalità di fare politica, di presentarsi agli elettori, di governare. Sappiamo che i mesi successivi alle elezioni potranno essere molto difficili perché dalle urne potrebbero uscire risultati che non rendono facile il formarsi di una maggioranza. È normale che ogni forza politica cerchi di guadagnare consenso puntando su proprie bandiere elettorali e siamo in questi giorni proprio nella fase in cui queste bandiere si stanno costruendo. Puntare su bandiere e proposte «realistiche» e documentate fin d’ora significa favorire un dialogo maturo e responsabile fra le forze politiche quando si parlerà della formazione del nuovo governo. Soprattutto avere chiaro quali siano i veri problemi e le soluzioni possibili aiuterebbe a ridare alla politica una dignità e una forza che sembra aver perso. Sarà utile, un dibattito pubblico serio, in quella fase post elettorale, anche per evitare che i mercati internazionali e i nostri partner politici, che ci guardano fin da ora, si allarmino attribuendoci un infantilismo politico che può fare molti danni e rendere più difficile il percorso di rilancio del Paese.

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