L'introduzione dei Piani individuali di risparmio (i Pir) è stata per il mercato finanziario italiano una delle più importanti novità dell'anno appena concluso. Le previsioni iniziali sono state ampiamente superate dalla realtà. Si registra come, per il 2017, la cifra totale raccolta per i Pir possa aver superato i 10 miliardi di euro e che, per il quinquennio fino al 2021, possa raggiungere i 70 miliardi. Considerando la struttura stessa dei Pir, che disciplina come almeno il 21% del portafoglio sia destinato a Pmi nazionali, ciò vorrebbe dire che, se tali previsioni venissero confermate, questo comparto dell'economia reale potrebbe disporre nei prossimi cinque anni di risorse per non meno di 14,7 miliardi. È un grande potenziale che va trattato con attenzione e responsabilità.
Vorrei interpretare tale portata alla luce di alcuni importanti fattori evolutivi. Innanzitutto, la crisi economico-finanziaria dell'ultimo decennio ha messo a nudo i limiti di una struttura finanziaria delle Pmi troppo dipendente dal finanziamento bancario. Gli elementi di crisi del sistema economico hanno contagiato i bilanci delle banche. Il conseguente deterioramento della qualità degli attivi bancari, anche per effetto di un fabbisogno di capitale crescente, ha generato, a sua volta, una restrizione nell'erogazione del credito. Le imprese hanno visto ridurre l'offerta di risorse finanziarie da parte del sistema bancario. Questo pone oggi l'interrogativo sulla sostenibilità di un meccanismo di finanziamento delle Pmi alimentato in modo preponderante dal sistema delle banche commerciali.
E di conseguenza genera la necessità per queste imprese di diversificare le proprie fonti di finanziamento, riducendo la dipendenza dagli strumenti bancari. Le stesse banche, inoltre, vivono evoluzioni regolamentari che porteranno inevitabilmente a modificare la composizione del margine di intermediazione verso attività di servizio più fee related e meno orientate al credito. Non si può, in tal senso, non considerare le proposte in discussione sulla gestione dei crediti deteriorati futuri o l’entrata in vigore dell’Ifrs9 e il conseguente impatto sulle rettifiche del portafoglio crediti. Peraltro, la capacità di impiego delle banche a tassi molto convenienti fino a oggi ha goduto di programmi di intervento della Bce, come nel caso del Tltro, che però si stanno concludendo. Sul fronte dei risparmiatori, gli strumenti di raccolta bancaria e gli investimenti in titoli di Stato hanno dimostrato di non rappresentare più strumenti efficienti ed efficaci, quanto meno se usati in modo pressoché esclusivo.
In una logica di diversificazione, alla ricerca di una più equilibrata composizione del portafoglio, sarebbe invece necessario trovare forme di investimento alternative, più orientate al lungo termine e alla creazione del valore, che portino risorse finanziarie a disposizione della parte sana del sistema delle imprese nella ricerca di rendimenti coerenti con i rischi assunti. Peraltro, chi osteggia la diffusione dei Pir dovrebbe considerare che i possibili 70 miliardi sono meno del 2% degli oltre 4.000 miliardi di ricchezza finanziaria detenuta dagli italiani e i 14,7 potenziali destinati alle Pmi solo lo 0,37%.
La portata reale dei Pir è quella di un meccanismo virtuoso di canalizzazione delle risorse finanziarie verso il sistema dell’economia reale e, in particolare, di uno strumento di finanza per la crescita per le Pmi. Questo carattere virtuoso si manifesta a diversi livelli. Per le imprese è l’occasione per pensare finalmente a un salto, anche culturale, nella gestione della propria finanza, diversificando le fonti sia con operazioni sul debito di mercato sia, e soprattutto, con operazioni sul capitale di rischio, anche attraverso la quotazione. Va ricordato che le condizioni dei mercati di Borsa per le Pmi sono oggi più favorevoli, per liquidità e per costi di transazione, rispetto a tempi più lontani. Per i risparmiatori è l’occasione per diversificare in modo più efficiente ed efficace il proprio portafoglio portando risorse finanziarie a disposizione della parte sana del paese che investe, che innova, che esporta e che cresce. Per gli intermediari è, infine, l’occasione per rendere meno dipendente il proprio risultato economico dall’attività creditizia che ha manifestato, soprattutto nell’attuale regime di tassi, elementi di criticità.
Questa occasione, però, ha bisogno di essere gestita con responsabilità e con attenzione per non sprecare l’enorme potenziale che i Pir hanno, il che richiede almeno tre condizioni: un’attenta identificazione da parte degli intermediari delle imprese su cui allocare le risorse raccolte, una responsabile ricerca di risorse da parte delle imprese per progetti seri e concreti di crescita e di innovazione, un’accurata selezione da parte dei risparmiatori del prodotto Pir più adeguato. Solo così il potenziale dei Pir potrà generare effetti positivi e duraturi sull’industria del risparmio gestito e sul sistema dell’economia reale del nostro paese.
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