Pasolini ci aveva visto giusto quando, nel 1964, aveva pensato di girare le scene conclusive del Vangelo secondo Matteo: Matera è una città adatta ai miracoli. Certo non soltanto a quello di cui parla il Nuovo Testamento (che è stato un espediente con cui Pasolini, molto meglio di Mel Gibson, ha confermato l’idea di una Lucania ebraica, cercata e individuata sul paradigma dell’emigrazione dei disoccupati come diaspora dalla terra-che-non-c’è), piuttosto il miracolo di una fede nelle pietre come fiducia nella risurrezione di un’umanità: le pietre che diventano carne, come nel racconto ovidiano di Deucalione e Pirra, le pietre che diventano vita e da cui si risorge, come Cristo appunto, uscendo dal sepolcro.
In questa chiave possiamo leggere una sorta di primato: una città avviata a nutrirsi di una vocazione per le cose inerti (che è esemplarmente la natura dei sassi), un luogo che avrebbe potuto fare della propria dimensione catacombale lo stigma del dolore e della sconfitta (settant’anni fa aveva ricevuto il titolo di «vergogna d’Italia» da un indignato Palmiro Togliatti), ha vinto la sfida con la morte e con il tempo, è riuscita a sovvertire in danza ciò che prima era solo lamento: da vergogna a Patrimonio Unesco, insomma, come diceva Alberto Angela nella puntata sulle Meraviglie d’Italia, andata in onda ieri sera su Rai Uno.
Un paio di anni fa abbiamo salutato sotto questi auspici l’elezione a capitale europea della cultura per il 2019, un evento dalla portata epocale non solo per il fatto che ci vorranno almeno quattordici anni prima che si ripresenti l’occasione per qualsiasi città italiana, ma perché quella scelta andava a riverberare su una regione che risentiva di tutte le contraddizioni insite nelle comunità appartenenti alle aree appenniniche e interne: pochissime librerie, biblioteche (tranne pochissime eccezioni) scarsamente frequentate, borghi svuotati, bassi indici di lettura, assenza di quotidiani e di editori a rilevanza nazionale.
L’elezione di Matera rappresentava la teoresi dell’inaspettato, era l’eccezione che confermava la regola. Adesso manca un solo giorno all’inizio del countdown, fissato per domani 19 gennaio, e ci chiediamo se siano ancora presenti all’orizzonte i dubbi manifestati in un tweet estivo da Alessandro Laterza, che conosce così bene le pietre di quella città da temere una cattiva metamorfosi: la loro trasformazione in focacce anziché in parole, cioè in pizzerie invece che in librerie. Nessuno credo possa negare che sia vero e fondato il pericolo di scivolare nel modello di città-luna park, attrazione fugace per mordere e scappare via. Se questo fosse il risultato, a nulla sarebbe valso il lavoro ammirevole prodotto dalla Fondazione Matera 2019 sia al tempo della candidatura che dopo. Il problema è, come nei discorsi simbolici, più sottile e coinvolge a livello più profondo il paradigma di una cultura che ha l’ambizione di diventare motore di sviluppo (smentendo ciò che aveva sostenuto a suo tempo il ministro Tremonti) e non soltanto occasione per aprire pizzerie.
I motivi per cui era stata avanzata la candidatura di Matera, infatti, conservavano e conservano tuttora i caratteri di una competizione con il destino: per i popoli di un Mediterraneo periferico e minore i libri, i teatri, le mostre, tutto ciò che insomma si nutre di bello e di bene, possono rendere finalmente concreto il traguardo di una riabilitazione morale e materiale, traguardo che nella storia dell’Italia repubblicana non era stato raggiunto né confidando nei tradizionali strumenti dell’agricoltura, né cercando una svolta nei miraggi di una industrializzazione improgrammata e tutto sommato dal respiro corto. Matera non può e non deve essere una Las Vegas meridionale e quando i riflettori si spegneranno sulle bandiere con il logo (vedi illustrazione) della capitale, quando le rotte turistiche seguiranno altre traiettorie dove polverizzare il tempo della curiosità globalizzata e momentanea, allora si valuterà lo spessore di questa capitale, la sua tenuta in ordine al ruolo che già da anni va ricoprendo: quella di una città-laboratorio, luogo di eccellenze (il Centro di Geodesia Spaziale) e di innovazione, una città i cui giovani non dovranno più cercare altrove la dignità di una professione. Allora sì che l’obiettivo sarà conquistato. E per la Basilicata (non solo per Matera) sarà arrivato il momento dove finalmente trovare, come per gli ebrei, il libro con cui raccontarsi.
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