Caro Luca, il film del 1960 “L’uomo che visse nel futuro” da piccolo mi aveva meravigliato e fatto sognare futuri inimmaginabili. Agli inizi degli anni 90 avevo provato poi nuovamente quelle sensazioni, erano gli anni della nascita del Web. Le stesse sensazioni mi sono tornate nei mesi scorsi provando a studiare blockchain, la tecnologia su cui si basa Bitcoin e tante altre piattaforme. Navigare tra icoalert.com o icodata.io e molti altri siti è come entrare in una macchina del tempo e vedere come gli uomini stanno immaginando futuri possibili. Non è difficile imbattersi in squadre fatte da nepalesi, africani e europei che insieme provano a immaginare un futuro diverso e anche qui, come in biologia, maggiore è la diversità maggiore è la possibilità di farcela. Trovate centinaia di progetti basati su tecnologia blockchain. Avete bisogno di un sistema di votazione che costi 0,000001 centesimo di euro rispetto ai 10/20 euro necessari oggi a persona? C’è blockchain. Ti è avanzato traffico dati sullo smartphone e vuoi venderlo a qualcuno che invece lo ha esaurito? C’è blockchain. E così avanti quasi all’infinito. Quando scendo dalla macchina del tempo però torna una delle questioni fondamentali di questa nuova epoca. L’epoca dell’illuminismo digitale, l’epoca della tecnologia facile da raccontare e facile da adorare perché è luccicosa e spesso utile, utilissima, a volte fondamentale. L’epoca che sta allontanando l’uomo dal sacro. L’epoca in cui l’umanesimo si sta confondendo, mescolato e sopraffatto dall’illuminismo digitale. Dove le protesi tecnologiche impiantate sui nostri corpi stanno modificando il dna umano per farlo diventare una nuova specie. Come possiamo abitare umanamente su un pianeta occupato dalla tecnologia spesso indispensabile? L’idea è quella di una specie di nuova dimensione della capacità di pensare e fare le cose insieme in un mondo di fiducia non gestito dalle istituzioni ma dalle relazioni dell’uomo con il contributo importante dalle tecnologie. Le associazioni, le imprese, le comunità i movimenti vivono di molti capitali. Uno dei più importanti per vivere la qualità del presente e la possibilità del futuro è il capitale narrativo. Blockchain, al di là di Bitcoin, fa parte di una nuova narrazione che possiamo usare con l’impegno di riconoscere il senso del limite e mettere la cura dell’uomo e della sua vulnerabilità sempre davanti a tutto.
Tu come inizieresti?
Michele Kettmajer
Caro Michele, dipingi un futuro nel quale la tecnologia ha ridisegnato la società in modo da mettere in crisi il sacro e l’istituzionale, chiamando le comunità a ripensarsi. Contrapponi un approccio umanistico a quello che chiami illuminismo digitale. Proponi di sviluppare una narrazione che liberi l’avvenire dall’abbaglio della tecnologia e concentri l’attenzione verso la cura di ciò che abbiamo di più umano. Non è poco in qualche riga. Ed è una sfida impari per le righe che seguono.
Da dove si può iniziare? Chiosando. Non so fino a che punto il sacro sia in crisi, ma di certo lo sono alcuni tabù e certi dogmi, elementi di antropologia e teologia che appaiono oggi come incomprensibili limiti al possibile. Allo stesso modo non sono sicuro che la dimensione istituzionale sia di per sé in crisi, ma di certo lo sono quelle istituzioni che svolgono funzioni da intermediari ma che non aggiungono valore: si pensa che siano sostituibili da in chiave tecno-comunitaria con sistemi basati sulla blockchain. Con l’innovazione tecnologica, l’umanità esplora il possibile e ne sposta il limite. Ma allo stesso tempo sfida sé stessa a decidere che cosa vuole. Può affidare la decisione al sacro o al politico, alla comunità o al civismo, o altro ancora: di certo non può accontentarsi di ciò che era stato deciso in passato, in un’epoca nella quale il possibile era meno esplorato. Di fronte al cambiamento climatico e all’ingegneria genetica, le conseguenze della tecnologia non possono essere affidate alla tecnologia.
© Riproduzione riservata