Commenti

Il modello tedesco resta basilare anche per il lavoro in Italia

  • Abbonati
  • Accedi
lettere

Il modello tedesco resta basilare anche per il lavoro in Italia

Caro Fabi,

ho letto che in Italia si è raggiunto il più alto numero di occupati, a un livello superiore a quello toccato prima della grande crisi. C’è stata quindi una crescita significativa negli ultimi anni dovuta in parte alla pur piccola ripresa economica, in parte alle misure sul mercato del lavoro che comunque hanno fatto crescere soprattutto i contratti a tempo determinato. Resta tuttavia il fatto che la disoccupazione diminuisce molto più lentamente di quanto crescano gli occupati e continua a rappresentare ancora un grave fattore di disagio sociale che sollecita un’attenzione particolare. Al di là delle polemiche politiche di questo periodo quali misure si potrebbero pensare, magari prendendo esempio dai Paesi, come la Germania, che sono riusciti a mantenere la disoccupazione, anche quella giovanile, a livelli particolarmente bassi.

Egidio Torri

Gentile Torri,

premesso che non esistono soluzioni facili per problemi difficili resta il fatto che il modello tedesco, a cui lei accenna, può essere un punto di riferimento anche per le realtà italiana dove la disoccupazione è particolarmente rilevante soprattutto al Sud così come in Germania alla fine del secolo scorso era molto forte nei territori riunificati dell’Est.

Ebbene tra il 2003 e il 2005 l’allora cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder, varò una commissione di studio guidata da Peter Hartz che propose e portò all’approvazione una serie di misure che cambiarono profondamente il mercato del lavoro. Venne tagliato il sussidio di disoccupazione e rese meno rigide le norme sui licenziamenti, divenne pressoché obbligatoria l’accettazione di un’offerta di lavoro, vennero ridotti gli oneri fiscali, diventò più semplice il passaggio dalla scuola al lavoro liberalizzando le diverse forme di apprendistato, vennero integrate le agenzie per l’impiego con le strutture formative e creati i mini-job per contrastare il lavoro nero.

Queste misure suscitarono forti proteste sociali e furono politicamente un suicidio per il cancelliere Schroeder che perse tutte le elezioni regionali fino alle elezioni politiche anticipate, perse anche quelle. Gli effetti sull’economia tedesca sono comunque stati positivi almeno se si guarda ai dati sull’occupazione.

La più recente riforma italiana del mercato del lavoro (il Jobs Act) va solo in parte nella stessa direzione. Le differenze più rilevanti riguardano le carenze italiane nello sviluppo dell’istruzione tecnica, nella collaborazione tra scuola e industria (per la quale tuttavia si stanno compiendo passi significativi), nelle politiche attive del lavoro con la dimensione della formazione permanente. Si può notare peraltro come le polemiche su questa riforma abbiano riguardato più la parte delle garanzie formali, cioè la revisione del famoso articolo 18, che non le misure sostanziali che possono aiutare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Per quanto riguarda l’apparente contraddizione tra aumento degli occupati e minore effetto positivo sulla disoccupazione è spiegata essenzialmente dal fatto che esiste una discreta percentuale di persone che pur non essendo ufficialmente disoccupate, magari perché hanno perso la speranza di trovare un impiego, ritornano tra le forze di lavoro “ufficiali” se cambiano le prospettive personali o professionali. E l’aumento dei posti di lavoro costituisce sicuramente un elemento di nuova opportunità.

Da ultimo non si può dimenticare come sulle statistiche incida l’effetto demografico. Il calo delle nascite degli ultimi decenni fa sì che di anno in anno cresca la dimensione delle fasce di età medio-alte. Secondo l’ultima indagine Istat, con dati fino a novembre 2017, sono cresciuti su base annua soprattutto gli occupati ultracinquantenni (+396 mila) e i 15-34enni (+110 mila), mentre sono calati quelli tra i 35 e i 49enni (-161 mila). Ma è lo stesso Istat a rilevare che al netto dell’effetto della componente demografica cresce l’incidenza degli occupati sulla popolazione in tutte le classi di età.

gianfranco.fabi@ilsole24ore.com

© Riproduzione riservata