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Bitcoin, una soluzione alla ricerca di un problema

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Bitcoin, una soluzione alla ricerca di un problema

Gentile Galimberti,

dopo l’avvento dei future sul Bitcoin, nonché il proposito di spingersi oltre con prodotti a leva più sofisticati e rischiosi (Etf), ho pensato di proiettarmi nel futuro, forse neppure troppo lontano. Ritiene verosimile e auspicabile l’istituzione di un mercato dei cambi (over the counter) riservato almeno alle prime venti criptovalute in termini di capitalizzazione? Si garantirebbe così maggior spessore e consistenza al mercato, con conseguente trasparenza nei tassi di cambio tra le singole criptovalute.

Denis Di Gianantonio

Caro Di Gianantonio,

se Bitcoin v’ha da essere, è certamente cosa buona e giusta, equa e salutare (come recita il Prefazio) che detta criptovaluta sia trattata in mercati spessi e trasparenti. Ma v’ha davvero da essere un Bitcoin per non parlare delle altre criptovalute (una nuova parola, questa, che mi auguro non compaia mai nel vocabolario dell’Accademia della Crusca)? Mi ricordo di aver letto un giorno una spiegazione per le anime semplici di cosa fosse il Bitcoin; questo esperto programmatore la metteva così: supponete, diceva, di depositare i vostri soldi in banca. Ma cosa succede se il direttore della filiale scappa con la cassa? Se invece mettete i vostri soldi in Bitcoin, il modo in cui avviene la transazione (usando la famosa ‘blockchain’) garantisce che ogni transazione è sicura e nessuno ci può mettere le mani sopra.

Al che farei due osservazioni. Primo, se il direttore scappa con la cassa, questo non ha nessuna influenza sui soldi dei depositanti, che hanno ben altre protezioni, da quella della banca stessa a quelle dell’assicurazione sui depositi. Certamente, se la banca fallisce e il singolo deposito è superiore al livello (generoso) assicurato, il depositante ci perde; e ci perde anche se il terzo pianeta è colpito da un asteroide tipo quello che spazzò via i dinosauri 65 milioni di anni fa. Ma anche la ‘blockchain’ avrebbe problemi con l’asteroide, e, soprattutto, per tornare all’attualità, i Bitcoin e altre criptovalute hanno riempito le cronache di questi giorni con furti cibernetici per importi pari a centinaia di milioni di dollari: altro che direttore che scappa con la cassa!

Il che ci porta al problema centrale. Augurarsi che dollari ed euro, yen e sterline, petrolio e grano siano scambiati in mercati spessi e trasparenti è sommamente desiderabile. Ma con l’euro posso comprare un caffè, col petrolio posso far volare un aereo, col grano posso fare gli spaghetti... ma col Bitcoin che cosa ci faccio? Quale bisogno va a riempire una criptovaluta? L’unico bisogno di cui ho sentito parlare è quello di chi chiede un riscatto in Bitcoin o di chi usa l’anonimato delle transazioni per pagamenti legati ad attività criminali. Bisogna distinguere, tuttavia, come scrissi all’inizio del mese (Il Sole 24 Ore del 3 gennaio) in risposta a un altro lettore, fra il Bitcoin stesso e l’infrastruttura tecnologica che lo supporta (la ‘blockchain’). Quest’ultima è un’ingegnosa soluzione informatica che ha molte utili applicazioni, e sta trovando usi nella finanza e negli archivi di dati, dai sistemi di pagamento ai sistemi catastali. Ma il Bitcoin stesso, fino a che qualcuno non mi dimostra altrimenti, rimane una soluzione alla ricerca di un problema.

fgalimberti@yahoo.com

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