Caro Galimberti,
ho l’impressione che nell’ambito del dibattito sui programmi elettorali manchi un tema importante, temo fondamentale. Mi riferisco alle previsioni dell’impatto sul debito pubblico italiano dell’aumento dei tassi di interesse, previsto dalla grande maggioranza degli economisti a partire da fine 2018 – inizio 2019 (vuoi per la fine del QE, vuoi per il miglioramento dell’economia europea, vuoi per l’effetto traino dei 4 aumenti dei tassi Usa previsti per quest’anno). Ebbene, secondo il rapporto tecnico sul debito della Commissione Ue (26 gennaio), un aumento dell’1% del tasso di rifinanziamento della Bce comporterebbe un aumento del 9% del debito italiano sul Pil entro il 2028, e un aumento del 12-13 % se lo spread dovesse allargarsi (cosa a quel punto probabile).
In altri termini, vedremmo schizzare il rapporto debito/Pil verso il 150 %. Questo in assenza di riforme. Figuriamoci se i nostri politici dovessero tenere fede alle loro proposte di riforme “sfonda debito”. Mi pare che il previsto aumento dei tassi costituisca il vero tema fondamentale, considerati i nostri 2300 miliardi di debito
Luciano Casiroli
Londra
Caro Casiroli,
l’aumento dei tassi di interesse è certamente una preoccupazione di cui tenere conto, ma vorrei osservare che le stime del rapporto cui lei si riferisce («Debt Sustainability Monitor- 2017», del gennaio 2018 - https://ec.europa.eu/info/publications/debt-sustainability-monitor-2017_en) sono meno rabbrividenti di quanto sembri. La ragione sta nel fatto che un aumento di un punto dei tassi – quell’aumento che farebbe innalzare, per l’Italia, il rapporto debito/Pil di 9 punti percentuali al 2028 – non è un aumento rispetto ai livelli attuali. Per chiarire: il rapporto parte da una stima di base (“baseline”) che, sulla base di politiche di bilancio invariate, proietta per l’Italia al 2028 un rapporto debito/Pil praticamente invariato (129,9) rispetto all’attuale punto di partenza di 130,0 (mentre, sia detto per inciso, il peso del debito aumenta di molto in Francia). Ma, nella stima “baseline” non tutto è invariato: i tassi di interesse coerenti con quelle stime scontano, in tutti i Paesi, un aumento verso livelli normali, definiti come un 3% dei tassi reali. Personalmente, considero quel 3% troppo elevato, dati i fattori strutturali che hanno schiacciato nel mondo il tasso reale di interesse, una discesa che è cominciata ben prima della Grande recessione e delle politiche di espansione quantitativa della moneta. Ma vorrei sottolineare che quel punto percentuale di aumento dei tassi di cui all’analisi di sensitività della Commissione è addizionale al livello dei tassi di cui alla stima “baseline”. E i tassi della “baseline” sono già nettamente più alti di quelli attuali.
Comunque è giusto ricordare, specie di questi tempi pre-elettorali in cui si moltiplicano, come lei dice, le promesse “sfonda-debito”, che bisogna conservare la fiducia dei mercati. E finora la nostra gestione dei deficit e del debito ha meritato questa fiducia. Bisogna anche ricordare che nel lungo periodo il nostro debito, come dice il rapporto, è sostenibile, anche grazie a quell’aumento dell’età pensionabile che alcuni vorrebbero sciaguratamente eliminare. Il rapporto calcola un indicatore – la cosidetta «Intertemporal Net Wealth» (ricchezza netta intertemporale) – definito come il valore attuale dei futuri saldi primari del bilancio meno il debito pubblico al netto delle attività pubbliche. Ebbene, questo indicatore, per l’Italia, è nettamente migliore rispetto ai valori medi dell’area Euro, e anche rispetto a Germania e Francia.
Tornando al livello dei tassi, se questo è un potenziale pericolo, ci sono anche, per altre variabili, potenziali vantaggi descritti nel rapporto: basterebbe, di qui al 2028, un aumento del tasso di crescita del Pil di mezzo punto per far scendere il peso del debito di oltre 7 punti percentuali. Ecco un utile spunto di riflessione per proposte e programmi.
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