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Se il Consiglio europeo manca di coraggio sulle rinnovabili

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Se il Consiglio europeo manca di coraggio sulle rinnovabili

Che l’Europa fosse in difficoltà lo sapevamo già. Che il Consiglio europeo volesse cedere la sua leadership nelle rinnovabili, dopo che l’Europa ha lungamente guidato la lotta globale al cambiamento climatico, è la realtà di oggi. Ed è una realtà – peraltro pressoché ignorata dai maggiori circuiti mediatici – che ci sorprende, e vorrei dire ci addolora, come cittadini, prima ancora che come operatori. Per chi, come me, ha vissuto da adulto nel dopo Maastricht e ha figli nati nell’era dell’amministrazione Obama, è semplicemente incomprensibile quello che è successo nel dibattito del 18 dicembre 2017, durante il Consiglio Energia, composto dai ministri Ue competenti in materia.

A fronte della posizione del Parlamento Europeo – che, di fatto, rappresenta le istanze dei cittadini europei – volta a incrementare al 35% il target di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2030, la posizione del Consiglio Europeo – quindi dei singoli interessi nazionali – si limita invece a un modesto 27%. Di fatto, la quota che si raggiungerebbe se non ci fosse alcun obiettivo sul tema, frenando quindi l’ambizione non soltanto a voler fare di più di quanto non sia una semplice crescita business as usual, ma anche a trainare il resto del pianeta nella transizione energetica in corso.

La buona notizia è invece che il Parlamento europeo ha ulteriormente reagito a tanto conservatorismo durante la seduta plenaria che si è tenuta esattamente un mese dopo, cioè il 17 gennaio 2018. Infatti, mentre il Consiglio si è espresso in favore di target vincolanti a solo livello comunitario, il Parlamento si è indirizzato verso una maggiore responsabilizzazione degli Stati membri, prevedendo procedure d’infrazione per quelli che non rispettino i propri obiettivi nazionali, stabiliti dagli stessi e notificati alla Commissione, e concedendo una deviazione massima pari al 10% (in caso di motivazioni da giustificare alla DG Energy).

Inoltre pone in capo agli Stati inadempienti l’obbligo a notificare immediatamente tale mancanza alla Commissione e a colmare entro un anno il divario. Non solo. Mentre il Parlamento – in seduta plenaria – ha votato per un azzeramento completo delle emissioni di gas-serra europee entro il 2050, il Consiglio punta a innalzare tali limiti alle emissioni del 40%, facendo rientrare gli impianti inquinanti (carbone) nella partita. E non è un problema di “Bruxelles” o di come “Bruxelles funzioni”, perché il Parlamento è stato chiaro, i suoi Comitati hanno lavorato bene, hanno lungamente dibattuto posizioni anche diverse, per arrivare poi a esprimere in sede di voto una volontà a fare di più, a mantenere un’ambizione che si possa definire tale, a essere ancora leader nel mondo dell’energia pulita, a non fare peggio o meno della Cina, già oggi all’avanguardia nel settore, e degli Stati Uniti.

Sì, gli Stati Uniti, che, in barba a qualunque sensazione disfattista nei confronti delle rinnovabili, hanno approvato – nell’era Trump e nell’era del carbone - una tax bill che non tocca i crediti fiscali di cui godono i progetti rinnovabili. E che le lobby del carbone comandino più in Europa che negli Stati Uniti o in Cina, è anche questa una tendenza apparentemente manifestata dal Consiglio: come vengono decise, quindi, le sorti dell’Unione e delle future generazioni europee?

Paradosso della questione, poi, è che mentre nel passato produrre più rinnovabili significava maggiori costi a causa della presenza di ingenti incentivi, oggi le rinnovabili costano meno di altre fonti: basti guardare ai risultati delle ultime aste in diversi Paesi europei. Senza considerare che stiamo parlando di energie ovviamente pulite e che ci rendono più indipendenti da approvvigionamenti di combustibili da altri Paesi fuori dall’Europa. Rinunciare a obiettivi più ambiziosi, come è orientamento del Consiglio, vuol dire perciò anche rinunciare a risparmiare e vuol dire essere più dipendenti dalle decisioni altrui in materia di prezzi dell’energia, rimanendo costantemente “sotto scacco”. Significa, in definitiva, compromettere un’autonomia energetica possibile.

Certo, sarà complicato spiegare alle generazioni future e ai nostri figli come mai, nel 2017, dopo quasi 25 anni di Unione europea, il Consiglio europeo abbia deciso di porre dei gravi limiti alle potenzialità di sviluppo delle rinnovabili, ignorando quanto richiesto dai rappresentanti dei cittadini europei, perché un’Europa più pulita e meno inquinata è fondamentale nel patto tra politica e cittadini europei. Il mio auspicio è che l’Europa dei singoli interessi nazionali si ravveda e che dia priorità al bene comune. Anche perché, come si sa, quando si violano i patti, crollano i sogni e le ambizioni e vengono meno le motivazioni per rimanere uniti.


Ceo Falck Renewables

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