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Più integrazione nella Ue a partire dagli assetti esistenti

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Più integrazione nella Ue a partire dagli assetti esistenti

La nomina di un ministro delle Finanze che dovrebbe sovraintendere ai bilanci di tutti gli Stati dell’area dell’euro, nell’intento di rafforzare l’integrazione delle loro politiche economiche e finanziarie, sarebbe, a mio parere, un grave errore. Anzitutto perché costituirebbe una ulteriore frammentazione, per gruppi di Paesi, dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, in pieno contrasto con una logica di integrazione che dovrebbe valere, in modo equo ed equilibrato, con regole comuni, per tutti i Paesi dell’Unione. Ma soprattutto perché rischia di provocare un ulteriore irrigidimento dei bilanci statali dell’area dell’euro che già oggi alcuni Paesi mal sopportano. La via maestra per lo sviluppo del processo di integrazione europea sembra invece oggi quella di conferire all’Unione più estese competenze e risorse nel campo della politica di difesa e sicurezza comune, delle politiche ambientali e di quelle della cooperazione economica e sociale con i Paesi terzi, specialmente con quelli dell’Africa settentrionale e centrale. Si potrebbero così alquanto alleggerire i bilanci dei diversi Stati membri, che acquisterebbero maggiore elasticità e flessibilità per il perseguimento degli obiettivi di carattere più strettamente nazionale. Sarebbe necessario quel congruo adeguamento del bilancio comune della Ue al quale alcuni Paesi, che dichiarano di sostenere la necessità di una maggiore integrazione, stranamente si oppongono.
Prof. Antonino Tramontana

Caro professore,
lei pone la questione di un ministro delle Finanze europeo in un più vasto contesto: la maggiore integrazione che (quasi) tutti auspicano è da perseguirsi attraverso un maggiore coordinamento (fino a un unico timoniere) dei bilanci pubblici, o attraverso l’integrazione in altri campi (difesa, sicurezza ambiente, cooperazione...)?
La domanda è importante e assomiglia a un’altra che assillava i tempi della creazione della moneta unica. Far d’ogni moneta un fascio, fondere in un solo crogiuolo quei simboli possenti di unità nazionale, non è un rischio troppo grosso? Non c’è il pericolo di una reazione che allontana, invece di avvicinare, il “Sacro Calice” di un’Europa unita? No, dicevano i fautori dell’euro, questo simbolo di unità tracimerà verso altri campi di un idem sentire e di un idem agire e contribuirà a un’integrazione sempre più stretta. Dopo quasi vent’anni di moneta unica, qual è il verdetto?
Il verdetto è che l’euro è stato un rischio che è valsa la pena correre. Ha resistito alla più grande crisi economica del dopoguerra, e a un grosso incidente di percorso (un Paese - la Grecia - che aveva fatto carte false per entrare nell’euro). «L’Europa si farà nelle crisi», scriveva Jean Monnet, e le crisi sono servite a rinsaldare i legami in altri campi, primo fra tutti quello delle finanze pubbliche, che oggi sono sottoposte a un controllo più stretto di prima. E all’orizzonte si profilano altre iniziative - la difesa e non solo - che varranno a darci più Europa.
Credo che i margini di azione permessi dalle regole europee sui bilanci pubblici, sia in senso restrittivo che in senso espansivo, non siano stati del tutto sfruttati. E, prima di pensare a un ministro delle Finanze europeo, che rischia di essere visto come un arcigno controllore che va a circoscrivere quella sovranità di bilancio che è ancora più importante della sovranità monetaria, bisogna pensare a usare meglio degli assetti oggi esistenti per il coordinamento dei bilanci. E - sono d’accordo con lei - a spingere l’integrazione in altre aree della politica europea.
fgalimberti@yahoo.com

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